La
fiaba giusta
«L’uomo pensa. Dio ride».
«L’uomo pensa. Dio ride».
Proverbio
Yiddish
A proposito del filobus
numero 75 e del pensiero divergente, c’è un’immagine molto significativa, forse
“l’ultima immagine che Rodari ci ha lasciato”[1],
quella di un bambino di due-tre anni che
a un tratto sale con la nonna sul tram, in mezzo a “gente cipigliosa,
ingrugnata, che pensa alle sue preoccupazioni, alle malattie”[2],
“e lui se ne infischia e ride, scherza, domanda, gioca e intanto cresce e
impara a usare corpo, mente e ragione”.[3]
Di nuovo un tram, pieno
di gente ‘seria e ingrugnita’. Ma adesso è il
bambino che ride la forza che vi si oppone, e non il tram stesso che scappa
via dalla città, uscendo dai binari.
Ed è proprio di questa
forza rivoluzionaria che c’è nel bambino, della sua apertura verso il mondo e
l’apprendimento, che abbiamo bisogno, e di chi, come Rodari[4],
l’ha saputa veramente cogliere e valorizzare con i suoi iscritti e il suo
impegno nel campo della creatività, dell’invenzione e della fantasia, per
diffondere quella rivoluzione copernicana[5]
che ha investito le scienze pedagogiche nell’ultimo secolo:
Nella nostra educazione
si sta verificando lo spostamento del centro di gravità. E’ un cambiamento, una
rivoluzione, non diversa da quella provocata da Copernico… Nel nostro caso il
fanciullo diventa il sole intorno al quale girano gli strumenti
dell’educazione. Ma al di là del fanciullo in quanto tale c’è l’Individuo, coi
suoi caratteri irripetibili. Si prospetta, così, una rivoluzione più radicale,
per la quale il valore si identifica colla espansione spontanea dei caratteri
individuali[6].
Ne abbiamo bisogno in
un mondo come quello del Conservatorio, in cui non è mai esistita «la
possibilità di sviluppare le competenze fondamentali per imparare a insegnare
il proprio strumento o la propria materia[7]»,
ma dove «tutto è affidato ancora alle disposizioni e capacità dei singoli
docenti e al loro rapporto con gli studenti»[8]
e che da anni si trova in una fase di trasformazione e di passaggio quasi
‘permanente’.
Ed in questo lunga e
travagliata fase di ripensamento e di sospensione, mi è venuto un timore, la
paura che a volte io ed i miei colleghi ci siamo interrogati sulle questioni
sbagliate, cercando e ricercando le formule giuste, i programmi migliori, ma
tralasciando lo spirito stesso dell’insegnare.
E mi è venuta allora in
mente un’altra immagine vicina al mondo di Rodari.
Facciamo l’ipotesi che
ad una giovane mamma, che sia stata assorbita molto dal suo lavoro[9],
e ha un po’ trascurato il suo bambino, venga consigliato di leggere dei libri a
suo figlio. E in modo particolare di leggergli delle fiabe.
Immaginiamo per assurdo
che questa mamma non sia mai stata abituata a farlo, né da bambina avesse mai
avuto qualcuno che lo facesse per lei. Prende tuttavia questo consiglio con
impegno e serietà.
Perciò acquista una
raccolta di fiabe e comincia a sceglierne alcune. E ogni sera passa molto tempo
a scegliere la fiaba giusta. Ma c’è sempre qualcosa che non va.
Vede che la cosa non
funziona. Il suo bambino è disattento, e questo momento di lettura non produce
i risultati sperati. Perciò attribuisce la colpa alla fiaba sbagliata. Sceglie
e risceglie, e compra delle nuove raccolte.
Ma niente da fare.
Allora consulta
nuovamente lo specialista che le aveva consigliato l’attività di lettura ad
alta voce, ed egli le fa delle domande.
Così lo specialista
scopre che la mamma è sempre un po’ distratta mentre legge le fiabe al figlio.
Si interrompe spesso per rispondere al telefono. Legge con disattenzione e non
mostra alcun divertimento né piacere nel leggere. Non capisce bene il senso di
questa attività, nonostante vi si dedichi con serietà, convinta di fare
qualcosa di utile per suo figlio. La
mamma insomma è convinta che tutto il beneficio di quell’attività stia nel
contenuto della fiaba, e per questa ragione è molto preoccupata di trovare
quella giusta, che possa insegnare delle cose importanti al suo bambino. E non
capisce che in fondo la fiaba scelta ha solo un’importanza relativa, ma tutto
il beneficio di leggere ad alta voce al suo piccolo sta proprio in quel
rapporto madre-figlio, nel creare un momento speciale, esclusivo, di intimità e
complicità, nella sua voce che deve comunicare amore e sicurezza, e in tutte le
cose che la sua voce può comunicare al di là delle parole e dei contenuti della
fiaba che sta leggendo[10].
Così anche a volte
anche noi abbiamo cercato disperatamente la fiaba
giusta, senza capire che era tutto il resto ad essere importante e sul
quale dovevamo porre la nostra attenzione.
Non è tanto quello che
si sceglie come prova d’esame, o il testo o i compiti a cambiare davvero la
maniera di insegnare l’Armonia. Che si realizzi un basso dato, e che sia poi un
basso in stile oppure scolastico,
oppure si preferisca il corale, o invece una libera composizione, le cose non
cambiano molto in realtà, se non cambia l’approccio stesso al modo in cui si insegnano
queste cose.
“In un’impresa
educativa il programma non dovrebbe essere l’elenco delle cose che ci
proponiamo di ottenere dai bambini, ma di quello che dobbiamo fare noi per
essere utili ai bambini. Dovremmo elaborare regole per il nostro comportamento.”[11]
E non ha nessuna
importanza che Rodari parli di bambini. Siamo tutti bambini quando compiamo i
primi passi nell’apprendimento di una materia nuova, o meglio, dovremmo tutti
esserlo, restando per il resto della nostra vita in apprendimento perenne, come dice uno dei principi cardine della
pedagogia...
Sorprendente a questo
proposito quello che dice Ernesto Consolo, affermato pianista e insegnante di
pianoforte presso il Conservatorio di Firenze[12],
nel 1926 (!):
“[…] durante la mia
lunga esperienza, mi sono convinto che, almeno per quanto riguarda il
pianoforte, è impossibile d’adottare un programma fisso d’insegnamento. Le
qualità psichico-musicali e la conformazione della mano variano all’infinito e
sono fattori di cui bisogna tener conto severamente. Da queste considerazioni
scaturisce chiara la necessità di adattare il programma al “soggetto” , e non
il “soggetto” al programma”[13].
Queste dichiarazioni (che ricordano da vicino le
parole appena citate di Rodari), per quanto provenienti da un musicista di
formazione e carriera internazionali, che insegnò a Chicago e in Svizzera prima
di arrivare a Firenze, sono pur sempre del 1926, e quindi davvero sorprendenti,
per la loro assoluta modernità e attualità. Naturalmente la storia dei
programmi e della didattica del Conservatorio prese allora una strada
completamente diversa…Nelle foto: Gianni Rodari
Il pianista Ernesto Consolo
[1] T. De Mauro,
Prefazione a Gianni Rodari, Esercizi
di fantasia, pag. 9
[2] G. Rodari, Quello che i bambini insegnano ai grandi, in Esercizi di fantasia, Editori Riuniti 2006, pag.208
[3] T. De Mauro,
Prefazione a…, pag. 9
[4] “Chi onora la Santa Infanzia lo
porto in palmo di mano”, G. Rodari, Il
cavallo saggio – Poesie epigrafi esercizi, Einaudi 2011, p. 67.
[5] “Rivoluzione copernicana”. L’immagine si trova in Scuola e società di Dewey.
[6] L. Geymonat, Storia
del pensiero filosofico e scientifico, Volume sesto, Il Novecento, Aldo Garzanti Editore 1972, pag.395.
[7] O. Maione, I Conservatori di musica durante il fascismo: la riforma del 1930:
storia e documenti, De Sono Associazione per la musica, EDT, 2005, pag. 55
[8] O. Maione, I Conservatori di musica …, pag. 55
[9] “La madre è sempre tanto
occupata, il padre appare e dispare secondo un ritmo misterioso, fonte di
ricorrenti inquietudini.” Gianni Rodari, La
grammatica…, il capitolo Il bambino
che ascoltale fiabe, pag.136.
[10] “La voce della madre non gli
parla solo di Cappuccetto rosso o di Pollicino, gli parla di se stessa”, Gianni
Rodari, La grammatica…, p. 137. Si
veda anche quanto scrivo in Come succede
che un compositore scriva un libro, appendice al mio romanzo per ragazzi La principessa Amleth e il regno degli orchi,
Ancia 2011, pp.169/170.
[11] Gianni Rodari, “Dalla parte del bambino”, in Id. Scuola di
fantasia, citato in Strobino – Piatti… Il corsivo è mio.
[12]
Nato nel 1864 a Londra da una famiglia di Ebrei italiani, fu allievo di
Giovanni Sgambati (Roma) e Carl Reinecke (Lipsia). Svolse una brillante
carriera in tutta Europa. Diresse la classe superiore di pianoforte al Musical
College di Chicago dal 1906 al 1909 e insegnò anche al Conservatorio di
Ginevra. Visse per anni a Lugano, per poi stabilirsi definitivamente a Firenze, dove morì nel 1931. Fu nel 1921
autore, insieme a Ferruccio Busoni, di una proposta di rinnovamento degli studi
musicali.
[13] In O. Maione, I conservatori
di musica…, pag.28
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