venerdì 31 marzo 2017

A ritroso



À rebours (A ritroso)

Ci sono tre film la cui gestione del flusso temporale, cioè del modo in cui procede il tempo, mi ha colpito molto per originalità e complessità.  Il primo è un film di David Jones del 1883, Betrayal (Tradimenti), tratto da una commedia del 1978 di Harold Pinter. Il secondo, è Prima della pioggia di Milcho Manchevski del 1994, ed il terzo è il film di mio padre Il temporale (1999), il primo film in cui lavorammo insieme, e che deve sicuramente qualcosa, nella sua struttura narrativa, al film di Manchevski. Sia Il temporale che Prima della pioggia infatti raccontano una storia frammentata, in cui si gira intorno ad alcuni avvenimenti principali, narrati da punti di vista differenti. La successione cronologica tuttavia entra a volte in contraddizione  presentando alcuni elementi in ordine sbagliato, e quindi andando a creare dei veri e propri paradossi temporali.
Diverso il caso di Tradimenti, il cui filo del tempo è perfettamente lineare,  con una sola particolarità: procede a ritroso.
La storia narra di una serie di tradimenti e ruota intorno al triangolo di due amici e la moglie di uno di loro, ma parte dalla fine, dall’incontro dei due amanti avvenuto molto tempo dopo la fine della loro storia, e risale fino al momento in cui l’adulterio comincia. Un procedere inverso che scombina e sconvolge la nostra percezione del tempo. Un esempio affascinante di una condotta inusuale dei flussi temporali e delle emozioni.
Jeremy Irons e Patricia Hodges (prima foto, qui sotto con Kingsley), protagonisti di una lunga relazione clandestina – lei è la moglie del migliore amico di lui (Ben Kingsley)  – si ritrovano dopo un paio d’anni circa dalla fine della loro relazione, in un bar. La donna deve comunicare  al suo ex-amante che ora il marito sa. E qui c’è il primo tradimento. Lei mente a lui. E gli ha sempre mentito. Perché il marito sapeva da moltissimo tempo. Jeremy Irons ha poi occasione di parlarne direttamente con l’amico: “Ma come è possibile, tu sapevi e abbiamo continuato ad essere amici, and andare a pranzo insieme tutte le settimane?” La risposta dell’amico – Ben Kingsley -  è flemmatica e sconvolgente: “Ma non abbiamo mai più giocato a squash da allora…”. Da qui il film procede a ritroso fino all'inizio della relazione adulterina.





venerdì 3 marzo 2017

Ritornando sull'addio al Novecento

Sul tetto del mondo - nostalgia per una stagione epica ed ormai perduta



Come era bello sentirsi sul tetto del mondo, ascoltando i capolavori del Novecento, come il Requiem di Ligeti, Sinfonia di Berio, il Concerto per pianoforte e Orchestra di Xenakis, solo per citare pochi nomi. Quei lavori raramente ci facevano sentire la mancanza di tutto quello a cui la musica aveva rinunciato, nel secondo dopo guerra. Per raggiungere quelle vette, mai conosciute prima, sopportavamo le punture degli insetti e la stanchezza del viaggio, la fame ed i pericoli, il freddo pungente e il caldo torrido. Ma alla fine, giungevamo in luoghi dove mai prima uomo era giunto, e questa vertigine intellettuale ripagava di qualsiasi rinuncia. Rinunciavamo a tutto quello che poteva cullare le nostre orecchie, ma vogliamo paragonare i risultati raggiunti con questi piccoli sacrifici? Mettere sul piatto della bilancia quelle rinunce, di fronte all'intensità dell’esperienza uditiva ed artistica che ottenevamo in cambio, alla sua ‘verità’ e profondità?  

Come mai oggi quel sapore si è perduto? E perché sembrano ormai del tutto insopportabili quegli stessi sforzi, quei sacrifici di un tempo? Forse perché è impossibile digerire gli stessi piccoli gesti  nevrotici, le stesse durezze e cacofonie di un tempo, restando, però, nel giardino di casa? Gesti ai quali, essendo venuto a mancare il fondamento ontologico, estetico e filosofico, divengono insopportabili?
Come possiamo oggi patire tante privazioni senza muoverci d’un passo?  Senza nulla aggiungere, senza nulla scoprire, solo col rigirarci tra le mani, seduti in pantofole nel cortiletto del condominio, le vecchie e sbiadite foto ingiallite di cento anni fa, con quei ricordi dimessi di anni rivoluzionari, che oggi hanno il sapore dell’acqua stagnante?
Che senso ha stare scomodi nel ‘salotto dimesso’, per dirla con Gozzano, restare nelle proprie stanze anguste a soffrire sui miasmi di una discarica di suoni, fin troppe volte uditi, fin troppo brutti?