È difficile comprendere il perché l’ansia cresca
esponenzialmente quando si ha a che fare con la burocrazia, con moduli
prestampati ed uffici comunali.
E per questo ho cercato di tenerla sotto controllo,
perché non c’era ragione, perché era tutto tranquillo, perché si trattava di
mettere un paio di crocette su di un foglio di carta ed aspettare il timbro
dell’impiegato. Tutto qui. Nel giro di una mezz’ora sarei uscito dagli uffici
del Comune col mio bel foglio timbrato, da consegnare alla banca:la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà.
Naturalmente quel tipo particolare di servizio di
cui avevo bisogno non era previsto nell’elenco ‘touch’ della colonnina che
rilascia i numeri per la fila e così sono passato alle informazioni.
Poi mi sono seduto ed ho aspettato il mio turno, concentrandomi nel tener chiuso il coperchio
di una pentola dalla quale voleva traboccar fuori a tutti i costi la mia ansia.
Pochi numeri ed è subito il mio turno - evidentemente quel servizio non era molto
richiesto al momento.
- Ecco, ho messo il nome di mia madre, la data di
nascita… era divorziata sì, ma non sono sicuro se devo barrare questa o quest’altra
riga.
L’impiegata mi indica, dall’altra parte del tavolo
la riga giusta e poi prende in mano il foglio, girandolo.
- Guardi, ha dimenticato qui di segnare il nome del
marito…
A quella domanda ho un senso di vertigine e mi si
gela il sangue.
- Il nome del marito? – rispondo sgomento.
- Certo...
– ma… ma mia madre era divorziata da moltissimi anni, che importanza ha…
- Certo...
– ma… ma mia madre era divorziata da moltissimi anni, che importanza ha…
- Deve mettere il nome del marito, altrimenti non
posso metterle il timbro.
- Il fatto è che io non conosco il nome del marito,
non era mio padre e mia madre si è sposata nel 1948, molto prima che nascessi…
Se l’impiegata resta a sua volta sorpresa, non lo dà
certo ad intendere. Risponde freddamente:
- Gli uffici conservano i documenti a partire dall’Unità
d’Italia..
- Ma io non so dove andare a cercare quelle
informazioni… se non so dove si è sposata.
L’impiegata continua a guardarmi impassibile ed
allarga le braccia, restituendomi il foglio.
L’ansia a quel punto tracima, ed io esco dagli
uffici comunali in preda ad una disperazione contenuta ma intensa e profonda. E
acuta come la spina di un istrice. Ma non rassegnata. L’unica cosa che posso
fare è chiamare mio zio, il solo rimasto in vita di quattro fratelli, il più
giovane. Lui ricorderà.
- Ricordo bene quel giorno, tua madre si è sposata
nella chiesa di S.Agostino a Milano, era il 1948 o ’49… e quel giovanotto particolarmente
magro..
- E come si chiamava? – gli chiedo.
- Anselmi, mi sembra…
- Sì, quel cognome adesso dice qualcosa anche a me,
ma il nome?
- Il nome non lo ricordo, mi dispiace. Mi sembra Vittorio,
ma no, non lo so…
- In ogni caso il prossimo fine settimana sarò a
Roma, vengo a trovarti zio…
- Certo, ti aspetto a pranzo…
- Resto in silenzio a guardare piazza dei Signori, a
Padova, e cerco di pensare a come uscire da quella situazione. L’unica forse
sarà quella di andare a Milano, nella chiesa di S.Agostino e chiedere di
cercare quel documento del 1949 o forse del ’48…
Nei giorni seguenti i ricordi si agitano e
rimescolano. Riemergono immagini confuse, sensazioni, parole che mi passano
davanti veloci e poi si nascondono. Ho l’impressione che tra quelle parole si
celi anche il nome di quell’uomo, che devo aver visto in qualche vecchia foto.
Una parte della vita di mia madre che aveva voluto dimenticare e che aveva
totalmente rimosso anche dalla mia esistenza. Un matrimonio, un anno in America
dove, partita con grandi speranze, aveva finito per fare la fame; la
separazione, la depressione…
Ho in testa un nome, ma non riesco ad afferrarlo. Mentre
sono in treno scorro tutti i nomi maschili uno ad uno. Ma nulla. Poi, all’improvviso,
arrivato in stazione Termini ho una rivelazione. Il nome era Sergio, Sergio Anselmi,
ne sono quasi sicuro. Ma ho bisogno di prove. E, una volta arrivato a casa di
mia madre, mi metto a cercare. I suoi mobili e la sua scrivania sono luoghi che
già conosco, ma voglio riprovare. Li perlustro palmo a palmo. Bigliettini, ricevute,
qualche foto. Documenti. Ma nulla. Quella parte della vita di mia madre sembra
totalmente rimossa. Non ce n’è traccia. Fino a quando non ho un’illuminazione.
Sei mesi prima di morire, vent'anni fa, mia nonna si era trasferita
a casa di mia madre, dopo aver vissuto caparbiamente sola fino a novantanove
anni. Della sua casa si era portata soltanto una strana cassettiera, con un ampio
ripiano nella parte superiore chiuso da una sorta di tavolinetto a discesa, e
tre cassetti nella parte inferiore. Sembra una sorta di Ikea anni Cinquanta. Lo
scomparto superiore ha una serratura e la chiave è scomparsa… provo il primo
dei cassetti.
Grandi buste, con scritte a pennarello: Inps,
condominio 1996, ricevute Enel… e poi una busta trasparente e senza scritte, e
sotto una cartellina in pelle, la metà di un foglio A4, di quelle che usavano
un tempo e che ero abituato a vedere sulla scrivania di mio nonno, quella col
porta penne, l’asciuga inchiostro, la grande cartellina per i fogli e tanti
altri oggetti ordinati.
Ed ecco, una parte della mia vita, o meglio, della
vita di mia madre d’un tratto si dischiude. Era sempre stata lì e non l’avevo
mai vista. Una serie di foto molto vecchie. Mia madre giovanissima che sale le
scale di una chiesa accompagnata da mio nonno. Lei con un bouquet che sorride
radiosa accanto ad un uomo molto magro e decisamente non bello, dalla strana
espressione incerta.
Apro la busta trasparente e lì davvero c’è tutta una
parte della mia vita che mi era sconosciuta. A parte l’atto di matrimonio, e
quello di divorzio, c’è il riconoscimento che mia madre fece di me, figlio
naturale e nato in ‘costanza’ di matrimonio, cioè nato da un uomo mentre era
sposata con un altro.
Apro l’atto di divorzio… e qui trovo finalmente il
nome.
Cesare Anselmi, detto Giorgio…
Era Giorgio il nome che ricordavo e non Sergio.
Forse ingannato dal fatto che negli ultimi tempi mia madre, ormai persa in un
mondo tutto suo, nominava spesso quel nome, totalmente estraneo alla nostra
famiglia. Tutte quelle informazioni erano sempre state lì, dormienti, sopite in
un cassetto, ed aspettavano soltanto che le trovassi.
Adesso potevo compilare il mio modulo e tornare da quell'impiegata.