sabato 21 marzo 2020

La vita - è il solo modo

Wislawa Szymborska


La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un'occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l'erba;
e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d'importante


sabato 14 marzo 2020

Due piccole storie per la primavera che sta per arrivare


Il pianeta-ragnatela

Non rende giustizia a questo bellissimo pianeta, così luminoso e pieno di colori, il suo nome: il pianeta-ragnatela, perché questo pianeta non ha proprio niente a che fare con polverose soffitte e luoghi bui e spaventosi, né tanto meno con ragni e insetti.
Purtroppo i tanti viaggiatori che l’hanno visitato non hanno trovato niente di meglio di questo strano nome.
Ma, ci assicurano, il pianeta, è uno dei più belli di tutto l’universo.
Abitato da infinite specie di animali e di piante, letteralmente ricoperto di fiori dai colori più intensi e diversi, pullulante di vita in ogni più piccolo anfratto e meandro, il pianeta-ragnatela ha una particolarità sorprendente e davvero unica.
Tutte le creature viventi sono legate tra di loro da fili sottilissimi e quasi invisibili. Che rilucono tuttavia alla luce del sole, e si possono scorgere bene soprattutto nelle belle mattine d’estate.
Se un piccolo germoglio soffre la sete, se la più piccola delle creature animali ha fame o freddo, se una qualsiasi creatura soffre, tutte le altre, ma proprio tutte, condividono le stesse emozioni, la stessa felicità, la stessa sofferenza.
Per questa ragione, tutte le creature viventi si prendono cura le une delle altre, e nessuna fa mai del male ad alcun'altra.
Gli abitanti di questo pianeta meraviglioso hanno però una strana convinzione.
Sostengono che in tutto l’universo esistono questi fili che legano tutte le creature viventi fra di loro.
E inutilmente noi terrestri cerchiamo di spiegar loro che non è così.
Sono però così persuasi, gli abitanti del pianeta-ragnatela, di questa cosa, che a volte viene il dubbio che non abbiano ragione…



Un pianeta chiamato Bukk

Avvicinandosi con l’aeronave al pianeta chiamato Bukk, si è colpiti dalla vegetazione ricchissima e colorata.
Con quale sorpresa poi, una volta atterrati, ci si accorge, di cosa siano tutti quei fiori e quelle piante.
Libri, non sono altro che libri.
Che nascono, come piccoli germogli, grandi come il palmo della manina di un neonato, e con piccoli segni quasi incomprensibili sparsi tra le sue poche pagine.
E poi crescono, fino diventare dei grandi volumi ricchi di parole e di figure.
Come si può vedere nelle grandi foreste-enciclopedie.
E le persone? Dove sono le persone?
Nel pianeta chiamato Bukk  non sono le persone che immaginano e poi scrivono e poi stampano i libri.
Ma sono i libri che immaginano e creano le persone.
Quando un libro cresce, il fusto della pianta diventa alto e ben solido, e i suoi frutti-libri sono maturi, le sue storie cominciano a prendere vita. E compaiono e vanno ad abitare la superficie del pianeta.
Ci sono bellissime città, immaginate dai libri.
E persone, e storie.
Alcuni dicono che il primo uomo sulla terra sia arrivato dal pianeta chiamato Bukk, sognato un giorno da un libro, e capitato sul nostro pianeta per caso, spinto forse da un vento siderale…

(Da Gian-luca BaldiPiccole storie di altri pianeti - Favole marziane)






sabato 7 marzo 2020

Da Grammatica dell'armonia fantastica - Un capitolo inedito


La fiaba giusta

«L’uomo pensa. Dio ride».
 Proverbio Yiddish

A proposito del filobus numero 75 e del pensiero divergente,  c’è un’immagine molto significativa, forse “l’ultima immagine che Rodari ci ha lasciato”[1], quella  di un bambino di due-tre anni che a un tratto sale con la nonna sul tram, in mezzo a “gente cipigliosa, ingrugnata, che pensa alle sue preoccupazioni, alle malattie”[2], “e lui se ne infischia e ride, scherza, domanda, gioca e intanto cresce e impara a usare corpo, mente e ragione”.[3]
Di nuovo un tram, pieno di gente ‘seria e ingrugnita’. Ma adesso è il bambino che ride la forza che vi si oppone, e non il tram stesso che scappa via dalla città, uscendo dai binari.
Ed è proprio di questa forza rivoluzionaria che c’è nel bambino, della sua apertura verso il mondo e l’apprendimento, che abbiamo bisogno, e di chi, come Rodari[4], l’ha saputa veramente cogliere e valorizzare con i suoi iscritti e il suo impegno nel campo della creatività, dell’invenzione e della fantasia, per diffondere quella rivoluzione copernicana[5] che ha investito le scienze pedagogiche nell’ultimo secolo:
Nella nostra educazione si sta verificando lo spostamento del centro di gravità. E’ un cambiamento, una rivoluzione, non diversa da quella provocata da Copernico… Nel nostro caso il fanciullo diventa il sole intorno al quale girano gli strumenti dell’educazione. Ma al di là del fanciullo in quanto tale c’è l’Individuo, coi suoi caratteri irripetibili. Si prospetta, così, una rivoluzione più radicale, per la quale il valore si identifica colla espansione spontanea dei caratteri individuali[6].
Ne abbiamo bisogno in un mondo come quello del Conservatorio, in cui non è mai esistita «la possibilità di sviluppare le competenze fondamentali per imparare a insegnare il proprio strumento o la propria materia[7]», ma dove «tutto è affidato ancora alle disposizioni e capacità dei singoli docenti e al loro rapporto con gli studenti»[8] e che da anni si trova in una fase di trasformazione e di passaggio quasi ‘permanente’.
Ed in questo lunga e travagliata fase di ripensamento e di sospensione, mi è venuto un timore, la paura che a volte io ed i miei colleghi ci siamo interrogati sulle questioni sbagliate, cercando e ricercando le formule giuste, i programmi migliori, ma tralasciando lo spirito stesso dell’insegnare.
E mi è venuta allora in mente un’altra immagine vicina al mondo di Rodari.
Facciamo l’ipotesi che ad una giovane mamma, che sia stata assorbita molto dal suo lavoro[9], e ha un po’ trascurato il suo bambino, venga consigliato di leggere dei libri a suo figlio. E in modo particolare di leggergli delle fiabe.
Immaginiamo per assurdo che questa mamma non sia mai stata abituata a farlo, né da bambina avesse mai avuto qualcuno che lo facesse per lei. Prende tuttavia questo consiglio con impegno e serietà.
Perciò acquista una raccolta di fiabe e comincia a sceglierne alcune. E ogni sera passa molto tempo a scegliere la fiaba giusta. Ma c’è sempre qualcosa che non va.
Vede che la cosa non funziona. Il suo bambino è disattento, e questo momento di lettura non produce i risultati sperati. Perciò attribuisce la colpa alla fiaba sbagliata. Sceglie e risceglie, e compra delle nuove raccolte.
Ma niente da fare.
Allora consulta nuovamente lo specialista che le aveva consigliato l’attività di lettura ad alta voce, ed egli le fa delle domande.
Così lo specialista scopre che la mamma è sempre un po’ distratta mentre legge le fiabe al figlio. Si interrompe spesso per rispondere al telefono. Legge con disattenzione e non mostra alcun divertimento né piacere nel leggere. Non capisce bene il senso di questa attività, nonostante vi si dedichi con serietà, convinta di fare qualcosa di utile per suo figlio.  La mamma insomma è convinta che tutto il beneficio di quell’attività stia nel contenuto della fiaba, e per questa ragione è molto preoccupata di trovare quella giusta, che possa insegnare delle cose importanti al suo bambino. E non capisce che in fondo la fiaba scelta ha solo un’importanza relativa, ma tutto il beneficio di leggere ad alta voce al suo piccolo sta proprio in quel rapporto madre-figlio, nel creare un momento speciale, esclusivo, di intimità e complicità, nella sua voce che deve comunicare amore e sicurezza, e in tutte le cose che la sua voce può comunicare al di là delle parole e dei contenuti della fiaba che sta leggendo[10].
Così anche a volte anche noi abbiamo cercato disperatamente la fiaba giusta, senza capire che era tutto il resto ad essere importante e sul quale dovevamo porre la nostra attenzione.
Non è tanto quello che si sceglie come prova d’esame, o il testo o i compiti a cambiare davvero la maniera di insegnare l’Armonia. Che si realizzi un basso dato, e che sia poi un basso in stile oppure scolastico, oppure si preferisca il corale, o invece una libera composizione, le cose non cambiano molto in realtà, se non cambia l’approccio stesso al modo in cui si insegnano queste cose.
“In un’impresa educativa il programma non dovrebbe essere l’elenco delle cose che ci proponiamo di ottenere dai bambini, ma di quello che dobbiamo fare noi per essere utili ai bambini. Dovremmo elaborare regole per il nostro comportamento.”[11]
E non ha nessuna importanza che Rodari parli di bambini. Siamo tutti bambini quando compiamo i primi passi nell’apprendimento di una materia nuova, o meglio, dovremmo tutti esserlo, restando per il resto della nostra vita in apprendimento perenne, come dice uno dei principi cardine della pedagogia...
Sorprendente a questo proposito quello che dice Ernesto Consolo, affermato pianista e insegnante di pianoforte presso il Conservatorio di Firenze[12], nel 1926 (!):
“[…] durante la mia lunga esperienza, mi sono convinto che, almeno per quanto riguarda il pianoforte, è impossibile d’adottare un programma fisso d’insegnamento. Le qualità psichico-musicali e la conformazione della mano variano all’infinito e sono fattori di cui bisogna tener conto severamente. Da queste considerazioni scaturisce chiara la necessità di adattare il programma al “soggetto” , e non il “soggetto” al programma”[13].
Queste dichiarazioni (che ricordano da vicino le parole appena citate di Rodari), per quanto provenienti da un musicista di formazione e carriera internazionali, che insegnò a Chicago e in Svizzera prima di arrivare a Firenze, sono pur sempre del 1926, e quindi davvero sorprendenti, per la loro assoluta modernità e attualità. Naturalmente la storia dei programmi e della didattica del Conservatorio prese allora una strada completamente diversa…



Nelle foto: Gianni Rodari
Il pianista Ernesto Consolo



[1] T.  De Mauro, Prefazione a Gianni Rodari, Esercizi di fantasia, pag. 9
[2] G. Rodari, Quello che i bambini insegnano ai grandi, in Esercizi di fantasia, Editori Riuniti 2006, pag.208
[3] T.  De Mauro, Prefazione a…, pag. 9
[4] “Chi onora la Santa Infanzia lo porto in palmo di mano”, G. Rodari, Il cavallo saggio – Poesie epigrafi esercizi, Einaudi 2011, p. 67.
[5]Rivoluzione copernicana”. L’immagine si trova in Scuola e società di Dewey.
[6] L.  Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Volume sesto, Il Novecento, Aldo Garzanti Editore 1972, pag.395.
[7] O. Maione, I Conservatori di musica durante il fascismo: la riforma del 1930: storia e documenti, De Sono Associazione per la musica, EDT, 2005, pag. 55
[8] O. Maione, I Conservatori di musica …, pag. 55
[9] “La madre è sempre tanto occupata, il padre appare e dispare secondo un ritmo misterioso, fonte di ricorrenti inquietudini.” Gianni Rodari, La grammatica…, il capitolo Il bambino che ascoltale fiabe, pag.136.
[10] “La voce della madre non gli parla solo di Cappuccetto rosso o di Pollicino, gli parla di se stessa”, Gianni Rodari, La grammatica…, p. 137. Si veda anche quanto scrivo in Come succede che un compositore scriva un libro, appendice al mio romanzo per ragazzi La principessa Amleth e il regno degli orchi, Ancia 2011, pp.169/170.
[11] Gianni Rodari, “Dalla parte del bambino”, in Id. Scuola di fantasia, citato in Strobino – Piatti… Il corsivo è mio.
[12] Nato nel 1864 a Londra da una famiglia di Ebrei italiani, fu allievo di Giovanni Sgambati (Roma) e Carl Reinecke (Lipsia). Svolse una brillante carriera in tutta Europa. Diresse la classe superiore di pianoforte al Musical College di Chicago dal 1906 al 1909 e insegnò anche al Conservatorio di Ginevra. Visse per anni a Lugano, per poi stabilirsi definitivamente  a Firenze, dove morì nel 1931. Fu nel 1921 autore, insieme a Ferruccio Busoni, di una proposta di rinnovamento degli studi musicali.
[13] In O. Maione, I conservatori di musica…, pag.28

martedì 3 marzo 2020

I due artusi


Leggi del contrappunto e leggi di cucina...

Ripeto da sempre ai miei allievi di composizione di non confondere leggi musicali e leggi dello stato, perché le leggi che si trovano sui manuali – regole di contrappunto e armonia ad esempio -  nulla hanno a che fare con le leggi emanate dalle camere, che entrano in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e la violazione delle quali può portare anche alla prigione.
I manuali di armonia e composizione non fanno altro che constatare delle prassi, legate sempre a dei momenti storici e degli stili, magari accomunate da alcuni elementi legati al suono e alle sue caratteristiche fisiche, ma l’autore del libro non ha certo deciso quelle leggi, né il violarle comporta alcuna multa o pena.
Ma mai forse come qualche settimana fa mi sono reso conto di quanto un manuale di cucina sia vicino a un manuale di armonia!
Pellegrino Artusi, famoso gastronomo e critico letterario di Forlimpopoli, di cui quest’anno ricorrono i duecento anni della nascita (e ne visse ben 91!), raccolse 790 ricette in un libro diventato un classico della cucina, e almeno fino a qualche anno fa popolarissimo.
Di Giovanni Maria Artusi, allievo niente di meno che di Gioseffo Zarlino, tutti hanno sentito parlare probabilmente a proposito della querelle a distanza con Monteverdi, e della sua critica feroce che egli condusse contro le crudezze e licenze della cosiddetta seconda prattica, vale a dire contro un uso più disinvolto delle dissonanze e soprattutto della linee melodiche, che Monteverdi usava nelle sue raccolte di Madrigali. Nessuno cita mai invece una lettera, molti anni più tardi, nella quale l’Artusi di dichiarava pentito delle sue critiche e riconosceva a Monteverdi in pieno la sua grandezza.
Pensandoci bene, quanto sono simili un manuale di cucina e uno di armonia!
Un manuale di cucina deve partire dagli ingredienti, dalla conoscenza delle caratteristiche degli elementi che andrà a usare, dolci, acidi, amari, grassi, ecc., così come noi dobbiamo imparare a conoscere il suono e le sue caratteristiche. E poi dà delle indicazioni su come, in un certo ambito culturale, di gusto e di tradizione, quegli elementi possono dare il meglio se combinati insieme, mostrando ciò che i grandi del passato hanno fatto. Non leggi quindi, ma consuetudini centenarie, che comunque ciascuno ha la libertà di ripensare, riconsiderare e anche a stravolgere; nel caso della cucina, a suo rischio e pericolo naturalmente.