Come posso pensare di essere un compositore contemporaneo oggi, se le uniche cose che mi interessano sono melodia, armonia e ritmo? Che posto posso avere nella modernità se inseguo ancora queste divinità scomparse?
E come non posso che essere, in tutto e per tutto, un compositore del XXI secolo, essendo questo terzo Millennio nuovamente illuminato dalla loro luce?
giovedì 22 marzo 2018
domenica 11 marzo 2018
Post-Scriptum – Anni di Piombo Forever
Post-Scriptum – Anni di Piombo Forever
Qualche giorno fa ho ritenuto doveroso pronunciarmi
nei confronti di un gesto – la petizione contro Nicola Campogrande – che ho
ritenuto profondamente sbagliato: prima di tutto perché anonimo e poi perché
attaccava una persona sulla base delle proprie idee, idee, detto per inciso,
non particolarmente sconcertanti o
scandalose, semmai espresse in maniera un po’ eccessivamente semplicistica. Non
desideravo entrare nel merito di queste idee, né difenderle.
Sono rimasto sconcertato dal totale silenzio tra
tutti i miei amici e amici di FB, colleghi ed allievi riguardo tanto al
pronunciamento quanto a questo gesto ‘fascista’ ed inquietante. Zero, silenzio
assoluto, tranne il sostegno di due cari amici come Emanuele Arciuli e Andrea Rebaudengo, sostegno che ho tanto più gradito perché totalmente isolato.
Faccio fatica a comprendere questo silenzio.
E ricavo inevitabilmente la conferma che esiste
ancora un clima di intolleranza, di incapacità di dialogo, di chiusure assolute,
di campanilismi assurdi nel nostro paese, che oggi da noi il dissenso è
ancora tabù, perché evidentemente quando si è in guerra - e la musica contemporanea è sempre in stato
di guerra, perché vive all’interno di una società che la disconosce e la
contrasta – dissentire è un peccato mortale per cui si viene passati per le
armi. E la scusa quindi è sempre la stessa: siamo quattro gatti, non
attacchiamoci a vicenda… Ma possibile invece che io, pur riconoscendomi negli
ideali del Novecento, anzi proprio a causa di questi, non possa dire
liberamente che comporre oggi come faceva Pierre Boulez settant’anni fa è un
paradosso storico? Posso io riconoscermi figlio del Novecento che ho amato,
conosciuto, frequentato e ‘composto’ e al tempo stesso sollevare a volte
qualche critica nei confronti dei ‘grandi compositori’ italiani oggi tanto
celebrati ed eseguiti e dire che forse stanno sbagliando qualcosa? Che troppo
spesso sento il cattivo odore di un secolo che ormai è morto e non vedo la luce
di quello nuovo nelle loro musiche? E posso farlo senza timore di essere
accusato di apostasia e crocefisso da una serie infinita di attacchi, privi di
seria considerazione, riflessione e propensione allo scontro dialettico?
Ha davvero un senso questo protrarre all’infinito,
nella musica, il clima degli Anni di Piombo, che così bene ho conosciuto da ragazzo?
A questo proposito vorrei sottolineare un altro
aspetto della petizione contro Campogrande, o meglio di tutti i commenti che ne
sono seguiti, per lo più elogiativi ed entusiastici. Campogrande avrà pur
sbagliato ad esprimere tutta la sua ostilità contro un repertorio determinato,
ma possibile che nessuno veda il clima in cui noi degli anni Sessanta siamo
cresciuti? Vogliamo davvero ignorare la violenza strisciante della maggior
parte dei comportamenti dei grandi maestri e dei loro allievi contro tutti
coloro che non si uniformavano ai diktat del momento? Ma ce ne siamo già
dimenticati? O la maggior parte di voi ha avuto davvero la fortuna di vivere in
un mondo parallelo, dove tutti erano aperti e gentili, dalle larghe vedute?
Vi assicuro, io che sono cresciuto a Roma, in un
quartiere di confine tra una zona fascista ed una comunista, che ero in classe
al liceo, ad un passo da dove rapirono Moro, ricordo
perfettamente quel clima, così come ricordo l’atteggiamento del mio primo insegnante di
composizione. Andai da lui a quindici anni (1977!), con poche nozioni di
solfeggio e ancora meno di armonia, ma con tanta voglia di scrivere. Con un
entusiasmo incontenibile direi. Al quale rispose subito con l’affermazione
raggelante che la musica era morta (!). Gli portai un’invenzione a due voci,
stile Bach, la mia prima composizione, che mi massacrò dicendo che era
inconcepibile scrivere in quel modo, utilizzare addirittura delle quartine di
sedicesimi, cancellò tutto con spregio e scrisse sul foglio dei ritmi
estremamente complicati, fatti di quintine con pause ed infiniti altri gruppi
irregolari: che bella didattica, del rispetto e dell’ascolto! Oggi come
insegnante inorridisco al pensiero di quel primo incontro! Ma quegli anni erano
tutti così, o quasi, ce ne siamo già dimenticati?
Io non sono sicuro che quegli anni siano davvero finiti,
ma se lo sono davvero e me lo auguro, non sono finiti poi da tanto. E comunque
di episodi simili la mia generazione ne ha vissuti infiniti. Sarebbe
interessante raccogliere delle testimonianze a riguardo. Sebbene ancora oggi mi
sembra che ci sia ancora chi scambia la sacra arte dell’insegnamento con lo stupro e la clonazione, come ho
scritto in una mia intervista a Musicheria, è troppo forte il ricordo di quei
corsi estivi con alcuni ritenuti per così dire ‘grandi’, di quel conformismo
terrificante, dell’essere additati perché diversi, distrutti di fronte agli
allievi la mattina e poi magari riempiti di complimenti la sera a cena,
complimenti a volte un poco ambigui.
Allora, se proviamo ad aprire gli occhi e a capire
che per molti è stato davvero un ambiente di merda, forse si capirà meglio il
perché di certe acrimonie, di certi risentimenti. Sbagliati senza dubbio. Ma
causati da ragioni profonde e da ferite che non si sono ancora rimarginate.
Petizioni come quella appena venuta fuori non fanno altro che riaprire quelle
ferite e ricordarci che forse, dagli Anni di Piombo, non ne siamo ancora
usciti. Complimenti al suo ideatore e a tutti quella che l'hanno firmata e sostenuta in maniera più o meno diretta, più o meno esplicita! basta riportarla in un commento ad un proprio post ed inevitabilmente le si da il proprio tacito assenso...
sabato 10 marzo 2018
Schubert e Mahler
Ho capito perché ho sempre amato sia Schubert che Mahler, sin da ragazzo...
«La peculiarità di Schubert consisteva nell’essere nel mondo e nello starci con una sconfinata e gioiosa partecipazione, ma nell’essere contemporaneamente anche altrove, nell’avere a che fare con le cose ma anche al tempo stesso, con l’essenza più segreta di esse. Per comprendere a fondo la struggente contraddizione di questo essere contemporaneamente qui e altrove, abbiamo dovuto aspettare uno dei più schubertiani fra i Lieder di Mahler, Ich bin der Welt abhanden gekommen [Sono ormai perduto al mondo]. Il qui e l’altrove, le cose e la loro indicibile essenza si ritrovano nella musica di Schubert, ma nei gesti della vita di ogni giorno tutto questo si annunciava attraverso la silenziosa eloquenza di quei sorrisi e in quella ritrosia che solo uno sguardo superficiale poteva definire modestia» (1).
(1) (Enzo Restagno, Prefazione all'edizione italiana, in Schubert, l'amico e il poeta, nelle testimonianze dei suoi contemporanei - a cura di Otto von Deutsche, EDT, Torino 1999, p. XII).
giovedì 8 marzo 2018
Far from the madding crowd - A proposito della petizione contro Nicola Campogrande
Far from the madding crowd - A proposito della petizione
contro Nicola Campogrande
È comparsa in rete, qualche tempo fa, la seguente
petizione, sottoscritta anonimamente e senza il nome dell’ideatore, contro il
compositore e direttore artistico di MITO Nicola Campogrande:
Perché è importante
I firmatari di questa petizione richiedono ai sindaci Giuseppe
Sala, Comune di Milano, e Chiara Appendino, Comune di Torino, agli assessori
alla cultura Filippo del Corno e Francesca Leon, al Consiglio di
Amministrazione e ai Consigli Comunali, la rimozione di Nicola Campogrande
dall’incarico di Direttore Artistico del Festival MITO Settembre Musica. Nicola
Campogrande ha pubblicato sul Corriere della Sera (inserto “la Lettura”
del 28 gennaio:
https://www.pressreader.com/italy/la‐lettura/20180128/282144996778506) un
articolo nel quale traccia le nuove “cinque vie della classica”. Tali vie
permetterebbero, secondo il direttore, di liberarsi dalla “ipoteca punitiva delle
avanguardie del secondo novecento”. Per Campogrande queste importanti
tendenze si appoggerebbero sui seguenti elementi di linguaggio musicale: (i) la
creazione di paesaggi sonori statici e confortevoli; (ii) la raccolta della
sfida del pop‐rock; (iii) l’utilizzo di “atmosfere sognanti di grandissimo
fascino armonico”; (iv) il revival del primo novecento; (v) lo sfruttamento di
“tòpoi delle colonne sonore dei film di fantascienza”. Noi pensiamo che
tali idee non solo dimostrino, da parte del Direttore, un punto di vista
retrogrado e ignorante, ma risultino estremamente pericolose visto il ruolo che
Campogrande ricopre nel delicato panorama della cultura italiana. Tali elementi
di linguaggio, che sembrano descrivere un diktat estetico, non permettono al pubblico
di rinnovarsi e di capire la temperie culturale attuale, ma piuttosto di
perdersi in prodotti culturali che non rappresentano le esigenze espressive
della musica e della società oggi. Le “cinque vie della classica” indicate sono
delle panacee che rischiano di anestetizzare il gusto, il piacere estetico e
musicale della scoperta; evidenziano la non volontà, o la probabile incapacità
della Direzione del Festival, di offrire una programmazione musicale
all’altezza del compito e del finanziamento pubblico accordatele. Esse mostrano
che il denaro pubblico sembra sostenere una sorta di “cine panettone” musicale.
Diversamente da queste opinioni retrograde, i firmatari della petizione
pensano che la ricerca sonora, il rinnovamento dei repertori, delle tecniche e
degli approcci interpretativi, dei luoghi e degli strumenti, delle tecnologie e
dell’educazione a forme di musica inattese e sconosciute, siano il perno del
dialogo con il pubblico e il contributo della pratica musicale, dell’ascolto,
della curiosità e della scoperta sonora al rinnovo della società. Vista
allora la chiusura e la limitatezza delle posizioni di Nicola Campogrande, i
firmatari richiedono la sua rimozione dal ruolo ricoperto. Richiedono inoltre
la possibilità di rispondere a tali argomenti tramite uno spazio di simile
dimensione sul “Corriere della Sera”. Vista l’importanza di un tale giornale,
lo riteniamo responsabile della pubblicazione delle opinioni del Direttore di
MITO e delle conseguenze che tali opinioni possono avere sulla musica in
Italia: per tale ragione richiediamo al direttore Luciano Fontana che uno
spazio per mostrare l’esistenza di prospettive alternative sia dato nelle
prossime settimane.
Tre cose mi hanno colpito subito di questa petizione: l’anonimità;
la violenza dell’attacco (un appello ai sindaci di Milano e Torino, ed ai
relativi assessori per una rimozione
forzata); le motivazioni: l’aver espresso delle opinioni attraverso un
articolo apparso sul supplemento «Lettura» del «Corriere della sera», in
particolar modo le seguenti:
Per Campogrande queste importanti tendenze si appoggerebbero sui
seguenti elementi di linguaggio musicale: (i) la creazione di paesaggi sonori
statici e confortevoli; (ii) la raccolta della sfida del pop‐rock; (iii) l’utilizzo
di “atmosfere sognanti di grandissimo fascino armonico”; (iv) il revival del
primo novecento; (v) lo sfruttamento di “tòpoi delle colonne sonore dei film di
fantascienza”. Noi pensiamo
che tali idee non solo dimostrino, da parte del Direttore, un punto di vista
retrogrado e ignorante, ma risultino estremamente pericolose visto il ruolo che
Campogrande ricopre nel delicato panorama della cultura italiana.
Mi chiedo se i firmatari di questa petizione abbiano
riflettuto abbastanza sulla diabolica combinazione di questi tre elementi,
combinazione che porta ad un clima da caccia alle streghe, di La vita degli altri e alla Stasi della
Germania dell’Est… E lo chiedo a tutti i miei amici che in qualche modo hanno
dimostrato sostegno a questa iniziativa. Sono sicuro che ripensandoci bene, non
era questo ciò che volevano ottenere. E mi chiedo se non sarebbe stato meglio
firmare una petizione ‘propositiva’, il cui risultato sarebbe stato alla fine, comunque,
quello di criticare il Festival ed il suo direttore, ma ben più efficace, ben
più ‘pulita’. Come quella di chiedere che, ad esempio, quei compositori italiani
che raccolgono riconoscimenti importanti all’estero, possano anche da noi
trovare spazio nei Festival, che costantemente li ignorano – ma questo,
purtroppo, non è un problema soltanto di MITO, e allora bisognerebbe andare a
scontrarsi con tante realtà diverse e tanti poteri forti, e ci vorrebbe ben più
coraggio. Compositori che vincono premi importanti, magari non in Francia, ma
negli Stati Uniti ed in Australia, o compositori che invece proprio in Francia
e per mano di istituzioni prestigiosissime come Radio France ricevono riconoscimenti
straordinari, mentre qui da noi ancora fanno fatica ad essere eseguiti.
Torniamo ora alla petizione. Non solo mi colpisce
l’idea di attaccare qualcuno per delle idee, ma di attaccarlo per delle idee
simili a quelle espresse, e definirle poi pericolose. Altra cosa sarebbe stata
il giudicare l’ operato di Campogrande come direttore artistico e di criticarlo
aspramente. Analizzare attentamente il lavoro fatto negli ultimi anni, i
programmi, l’accoglienza del pubblico, i compositori ed i gruppi invitati e
criticarlo da questo punto di vista. Ma non si spende una parola sul Festival.
Trovo in
rete un commento alla petizione del direttore artistico del Festival
Traiettorie di Parma, che anzi ringrazio per averne diffuso i contenuti. Sono
sicuro che non sia lui uno dei firmatari della petizione, per quanto critichi
Campogrande, cosa assolutamente lecita e comprensibile. Non ho il piacere di
conoscere Martino Traversa, ma di lui ho sentito parlare solo un gran bene per
l’apertura del suo festival alle poetiche più diverse, e alle aree geografiche
e culturali più disparate, e per la stima che nutro nei suoi confronti sono
sicuro che non firmerebbe mai una petizione anonima simile (ah, ah, ma nessuno si è accorto dell'ironia delle mie parole?). Il suo commento è
molto interessante e vorrei sottolinearne un passaggio:
In Italia, a parte alcune rare eccezioni, questo genere musicale [la
cosiddetta musica contemporanea] occupa ormai ruoli ed ambiti del tutto marginali.
La musica contemporanea è stata già rimossa! Basta guardare la programmazione
dei Teatri, dei principali festival e delle regolari stagioni concertistiche
per rendersi conto della scarsità di pezzi di autori contemporanei. Quel poco
che rimane in Italia continua ad esistere, e resistere, grazie soprattutto
all'impegno e alla passione di compositori e interpreti, musicisti senza i
quali la musica contemporanea rischierebbe di scomparire per la pressoché
totale mancanza di sostegno da parte delle istituzioni pubbliche e i soggetti
privati.
E' un paragrafo che condivido, con entusiasmo. Oggi
c'è un popolo invisibile, che lavora e vive nell'ombra, e la cui vita è sempre
più difficile e contrastata. Ma proprio per questo, mi stupisce il sostegno ad
una petizione che offre su di un piatto d'argento a tutta una classe politica,
che da sempre si è dimostrata particolarmente insensibile verso la musica,
sinistra compresa, l'occasione di cancellare un Festival (sostituendolo magari
con la sagra della salsiccia) che, a prescindere dalla figura del suo direttore
artistico, è dedicato alla musica contemporanea. Magari il programma potrebbe
essere migliorato ed arricchito, ma sempre di musica si tratta, e di musica di
oggi. Non proprio della peggiore, se si legge un commento di Emanuele
Arciuli:
"So, i
dati sono pubblici, che MiTo ha avuto grande consenso di pubblico, ha
commissionato tanti lavori nuovi, anche a compositori come Stefano Gervasoni, Virginia Guastella, Francesco Antonioni, diversissimi
fra loro e tutt'altro che banali o compiacenti nei confronti dei gusti più
banali".
(da un post di Emanuele Arciuli del 3 marzo). A questo
aggiungerei il merito di aver portato gli Eighth Blackbird in Italia, tanto per
dirne una…
Tuttavia è innegabile che Traversa sollevi un problema
che andava in realtà sollevato da tempo ed è quello dei direttori artistici,
amministratori del bene pubblico. Non dovrebbero costoro garantire non solo
pluralità nelle scelte, ma anche attenzione a tutte le voci più significative
che si levano dal nostro paese? E questo è quello che accade? MITO è una
macchia nera in un panorama altresì pluralistico e tollerante? Ne siamo sicuri?
La Biennale è forse un esempio di questa pluralità ed apertura? E il festival di Traversa lo è??? Ed i teatri
lirici? Forse non è una questione più ampia che andrebbe trattata in ben altro
modo? Campogrande è un caso così eclatante di partigianeria che va additato e
cacciato malamente?
Questo non significa che non
ci siano tante cose che valeva la pena dire sull’articolo di Nicola Campogrande,
ed è proprio sul terreno delle idee, del pensiero, delle posizioni estetiche
che andava affrontato, non sull’attacco personale, sulla petizione a sindaci ed
assessori, finendo per coprirsi di ridicolo, tanto più con una petizione
anonima firmata da quarantaquattro persone. Più che una petizione sarebbe stato
molto più interessante infatti entrare nel merito dell’articolo scritto per «Lettura».
Ma la petizione mi sembra scritta con la pancia e non con la testa. E il clima
che essa ha evocato mi rende ancora più fiero di vivere da anni il mio Aventino musicale in
solitudine, Far from the madding crowd
per citare Hardy.
Possibile che rivolgere delle critiche di questa natura ingeneri una tale e
violenta reazione? Possibile che il dire che nel mondo oggi le realtà
compositive appaiono per molti versi decenni avanti a noi, che c’è una
ricchezza, una diversità, un aver superato la nostra vecchia lotta degli Orazi
contro i Curiazi, del tonale e l’atonale, solo per fare un esempio, da millenni
passi per un reato di apostasia? Tanto che certe tematiche fanno veramente
ridere alla luce di ciò che generazioni di trentenni e quarantenni stanno
facendo in tutto il mondo. E questo era forse proprio uno dei difetti
principali dell’articolo di Campogrande, di voler far apparire che nel mondo
esistono solo cinque principali trend (invece che decine e centinaia), cioè di
scambiare i suoi gusti con la realtà assoluta. E di farlo in una maniera un po’
semplicistica, partendo da premesse poco scientifiche, come quel parlare di
musica ‘punitiva’, che forse poteva esser argomentato meglio. Credo sia arrivato il
momento in vece di portare avanti delle critiche profonde, strutturali, serie a
tutta una scuola compositiva. Qui varrebbe la pena di aprire un confronto
serio, uno scontro di idee, perché se nei rapporti umani il rispetto e la
gentilezza sono d’obbligo, tra le idee lo scontro deve essere senza quartiere,
senza false ipocrisie o timori. Schietto e inesorabile.
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