Gian-Luca Baldi
Il lungo cammino di Franz Schubert
– II parte
Ellens dritter Gesang: Ave Maria
Nel 2018 due guizzi di sobria notorietà hanno
aiutato Franz Schubert, la cui musica sembra ‘pervadere’ la modernità in
maniera generalmente discreta e quasi invisibile, ad attirare l’attenzione di
un pubblico più vasto. Nel mese di maggio, attraverso la diretta televisiva del
matrimonio del principe Harry, il nome di Schubert è risuonato in tutto il
mondo, mentre la sua musica si diffondeva dalla Cappella di St. George. Si
trattava della famosissima Ave Maria,
un brano che accompagna ormai da decenni, nonostante i veti e divieti di tante
autorità ecclesiastiche, i matrimoni di ogni classe sociale, dalle più umili fino,
evidentemente, alle famiglie reali, in una versione per violoncello e orchestra
affidata alla giovane promessa Sheku Kanneh-Mason, la cui compilation è saltata
subito in vetta alle classifiche. A questo proposito, anche per comprendere le perplessità
della Chiesa, vale la pena di ricordare che non si tratta di un brano sacro
(sebbene oggi si cantino anche versioni che al testo originale sostituiscono la
preghiera cattolica alla Madonna), ma del
sesto di un gruppo di sette Lieder tratti da La donna del lago di Walter Scott, romanzo che anche Rossini aveva
utilizzato per la sua opera omonima, del 1819: Liederzyklus von Fräulein vom See (Ciclo di Lieder sulla Donna del
lago). Il titolo originale dell’Ave Maria
è Ellens dritter Gesang – Terzo canto
di Ellen, dove Ellen Douglas, la
donna del lago, si rivolge alla Vergine Maria affinché protegga il ribelle Roderick
Dhu, dei clan scozzesi del nord, che sta per andare in battaglia contro il re
Giacomo V. Composto nel 1825, questo ciclo di sette Lieder sembra sia stato
eseguito per la prima volta in onore della Contessa Sophie Weissenwolff, nel
suo castello di Steyregg. Significativo quello che scrive Schubert al padre a
proposito dell’Ave Maria in una
lettera del 25 luglio: «Tutti fanno grandi meraviglie di fronte al fatto che io
sia stato capace di esprimere una devozione così sincera, in un inno alla Beata
Vergine, un inno che, a quanto sembra, fa presa sull’animo di ciascuno, e
ispira sentimenti di pietà religiosa. Credo che questo dipenda dal fatto che io
non mi sono mai imposto di essere devoto, e che non ho mai composto inni e
preghiere se non quando mi sentivo istintivamente ispirato da un sentimento
religioso sincero. E credo che in questo consista la vera e autentica
devozione» (Einstein 1978, p. 313). Emerge qui chiaramente, a proposito della
disposizione del compositore nei confronti della devozione e dello scrivere
brani di ispirazione sacra, uno dei caratteri distintivi della personalità
musicale di Schubert, e cioè il fatto che egli «non scrisse su commissione se non
in casi rarissimi e poco importanti. Anche sotto questo riguardo egli divenne
un modello del compositore ottocentesco, che obbedisce soltanto alla sua
ispirazione» (Paumgartner 1981, p. 232). E non solo. C’è nel suo comporre una
leggerezza, una facilità, una naturalezza che non si riscontra in altri
compositori. Non certo in Beethoven di cui era noto il travaglio artistico,
fatto di bozze preliminari, appunti, versioni scartate e cancellature
molteplici, ma nemmeno in un Mozart, al quale una prodigiosa memoria musicale
consentiva di tenere a mente anche per mesi le proprie composizioni, rifinendole
nei minimi dettagli ‘interiormente’, e di scriverle solo quando erano ormai
perfettamente compiute. Per quanto non possa dirsi che l’arte di Schubert fosse
priva di riflessività e ponderatezza (processi interiori dei quali è possibile
per noi scorgere solo la cima dell’iceberg), in lui l’idea musicale sembrava
sgorgare veloce e con facilità, quasi in uno stato di chiaroveggenza o di
trance, dove l’artista si lasciava guidare da un intuito infallibile e da una
visione chiara della forma e del divenire musicale. È proprio l’Ave Maria che ci fornisce in fondo un
ottimo esempio dell’arte di Schubert: un accompagnamento semplice, il
pianoforte sembra quasi imitare una chitarra, come nel Lied Ständchen (Serenata); un’armonia
trasparente e solo apparentemente ordinaria, che riserva in realtà piccole ed
elegantissime sorprese, evitando così qualsiasi rischio di banalità; un senso
della melodia squisito, del tutto ‘italiano’. Non è certamente un caso,
d’altronde, che Schubert studiò cinque anni con Antonio Salieri che della
scrittura vocale faceva il perno del suo magistero didattico. Anche se c’è da
dire che i compositori austriaci del periodo classico, Mozart primo fra tutti
(e abbiamo già detto che Haydn studiò don l’operista napoletano Nicola Porpora),
seppero combinare intimamente la tradizione vocale italiana a quella
strumentale tedesca, ottenendo così dei risultati straordinari.