E’ forse
proprio nel gennaio del 2015 che il termine avanguardia sembra fare
ufficialmente e definitivamente il suo ingresso nel linguaggio pubblicitario,
dimostrando così una longevità ed una capacità di rigenerarsi nel tempo e nei
luoghi del tutto particolare. Non nel senso che l’avanguardia compaia nella
pubblicità, come nelle immagini pubblicate dall’Espresso nel 1978, della
pubblicità di uno champagne in cui apparivano le opere di Mario Schifano e
Concetto Pozzati, ma che ciò che la pubblicità propone – nello specifico una
nuova autovettura – viene definito esso stesso avanguardia.
Niente di
strano, però. Perché se riflettiamo sul concetto di avanguardia, niente di
meglio che un prodotto industriale, o appartenente al mondi della moda può oggi
a pieno diritto utilizzare questo termine.
Tanto è vero che, se cerchiamo la parola 'avanguardia' su Google, i risultati che escono sono principalmente legati alla moda e alle autovetture!
Che Avanguardia sia un
concetto perfettamente assimilato dall’industria e dalle nuove tecnologie, à dovuto ad una ragione molto semplice: il
loro cammino ha ben chiaro il prima e
il dopo, e l’importanza di un
processo di evoluzione continua e inarrestabile.
Agli inizi
del Novecento invece questo termine era stato appena rubato dalla politica
prima, e subito dopo dalle arti e dalla musica al linguaggio militare, per il
quale indicava originariamente un gruppo ristretto di soldati che precedevano
il grosso dell’esercito, per avvicinarsi non visti alle linee del nemico
e fornire un resoconto sulla sua posizione, la consistenza del suo esercito, la
sua strategia.
Proviamo a
vedere con quali significati acquisiti:
1.
Un gruppo ristretto di individui (o anche un solo artista), rompono con la
tradizione/col linguaggio che è stato tramandato loro/con i propri maestri, e
ne rivoluzionano radicalmente le regole, individuando nuove leggi e nuove
estetiche. Essenziale quindi è il senso di rottura profonda con quanto precede.
2.
Questo atto ‘rivoluzionario’ è spesso vissuto in solitudine e accompagnato
dalla diffidenza se non dall’aperta ostilità del’ambiente accademico. Accademia,
in questo senso, è il contrario di avanguardia. E’ il sapere
costituitosi nel corso dei secoli, tramandato e custodito gelosamente, e
rispettato dai molti. Un sapere che si considera quasi sacro, e quindi
intoccabile.
3.
Il concetto di avanguardia è intimamente e strettamente legato all’idea
occidentale della Storia e del Tempo, una concezione lineare che trae origine
dalla cultura giudaico-cristiana. Un arco temporale che ha un inizio (la
creazione) e una fine (il giudizio universale). A questa visione di un
procedere lineare verso un fine ultimo, nel corso dell’Ottocento, si aggiunge
il progresso scientifico, che rafforza anche nelle Arti la sensazione di
procedere in avanti, di progredire. Tuttavia la Seconda Guerra Mondiale segna
uno spartiacque nettissimo nella civiltà occidentale. Il senso della Storia e
del Tempo ne escono completamente trasformati, per non dire sconvolti. Da quel
momento Oriente e Occidente sembrano tornare ad avvicinarsi, e concezioni
antiche o lontane come il senso ciclico della storia, tornano a contaminare la
nostra sensibilità. Col passaggio dal Modernismo al Post-modernismo,
coll’evaporare del significato di ‘progresso’, con lo svanire delle tante
certezze della società occidentale, il concetto d’avanguardia stesso ne
esce completamente svuotato. Se il percorso della Storia non è lineare, ma
multiplo e discontinuo, ciclico e contraddittorio, come può esserci un’avanguardia?
Come qualcosa può essere più avanti di qualcos’altro? Nella moda, forse. Nella
tecnologia, sicuramente! Ma non nelle arti!
Con queste
premesse, se noi ora esaminiamo alcune posizioni che oggi amano ancora
definirsi ‘avanguardia’, senza tener conto di quanto è stato detto e
scritto dai principali studiosi e teorici negli ultimi trent’anni, scopriremo
che rispondono esattamente ai requisiti di quella che una volta si definiva accademia
e dell’avanguardia, nel senso modernista, non hanno proprio più nulla.
Nel momento
in cui alcune scelte sono state compiute, e alcune strade sono state intraprese
oltre cento anni fa, che a tutto ciò si sono ispirate diverse generazioni di
compositori, docenti, teorici, che hanno riconosciuto in quei principi ‘la
strada’ giusta, la ‘verità’, e che quindi quei principi impongono alle
generazioni più giovani, tutto ciò è diventato inevitabilmente e inesorabilmente
‘accademia’. Niente e null’altro che quella trita e vuota ‘accademia’
che l’avanguardia aveva in odio e combatteva.
Inoltre è
assolutamente estraneo allo spirito stesso dell’avanguardia il
cristallizzarsi di un linguaggio per oltre cento anni. Tanto che è stato
rimarcato negli ultimi anni, da molti critici, che un certo tipo di musica
contemporanea sembra aver perso totalmente la nozione di stile e di ‘sound’,
reiterando all’infinito certe sonorità, incancrenitesi in gesti ormai vuoti e
stanchi, ripetuti da troppi individui e da troppo tempo per essere ancora veri
e sinceri.
Avanguardia era, e al limite dovrebbe essere oggi, tutta un’altra
cosa. Seguire solo la propria strada, non ascoltare i propri maestri, o
addirittura vituperarli, come faceva Boulez, fare solo ciò in cui si crede e
costruire da soli il proprio linguaggio, senza riceverlo pre-masticato dagli
altri. Magari andandocelo a prendere dal passato, ma rifiutando quello che
va di moda oggi, quello che bolle in pentola, quello che conviene fare per
vincere i concorsi e potersi affermare come compositore. Avanguardia
è esattamente il contrario. E’ solitudine. E’ non essere eseguiti. E’ prendersi
gioco delle mode. E’ coraggio, indipendenza. E’ cercare, cercare, e magari non
trovare nulla per anni.
Tuttavia,
paradossalmente, chi crede nella fine del percorso lineare della Storia (come
il sottoscritto), nella fine inesorabile del Modernismo, dissoltosi nel
Post-modernismo; nella fine di un percorso storico ineluttabile degli stili che
prevedeva un prima e un dopo; chi è persuaso della fine dell’idea stessa di
progresso e dell’andare avanti, crede contemporaneamente che, diventata la
questione dello stile assolutamente individuale e personale, e soprattutto non
globale[1],
ma legata a quella data opera, a quel dato evento, proprio costui accetta di
conseguenza anche i sopravvissuti dell’avanguardia, e tutti coloro che
ne perpetuano alcuni gesti all’infinito. Ne rispetta le scelte, come un repechage
retrò, con lo stesso diritto all’esistenza del post-barocco, del nuovo
minimalismo, dell’art-rock e di mille altre correnti.
Mentre
coloro che credono ancora nella Storia (e ne hanno perfettamente diritto),
nell’evoluzione lineare degli stili, convinti di appartenere ancora all’onda
lunga di una rivoluzione artistica cominciata più di cento anni fa, si
trovano invece a fare i conti con un mare diventato deserto, dove si
trascinano stanchi i cammelli in mezzo alle navi arenate, come nel lago Aral[2],
proprio costoro dovrebbero prendere consapevolezza allora che questa ‘Storia
lineare’ ha inesorabilmente condannato a morte, per età, anzi vecchiaia,
stanchezza, ed esaurimento, le loro convinzioni, e dovrebbero quindi arrendersi
come il soldato giapponese Shoiki Yokoi che rimase per ventotto anni nascosto
nell’isola di Guam, rifiutando caparbiamente di accettare l’idea che la guerra
fosse finita, e che una volta costretto a tornare alla civiltà, dichiarò: «E’
con grande imbarazzo che sono tornato ad essere vivo».
[1] Per cui un compositore può avere
oggi molti stili e nessuno (si vedano a questo proposito le dichiarazioni di
uno dei compositori più eseguiti al mondo, John Adams).
[2] “A
piedi nell'Aral, il lago diventato deserto”, di Maurizio Chierici, «Corriere
della sera», 11 maggio 1998.
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