sabato 31 ottobre 2020

breve estratto da Tempi difficili nella Città grigia - in Metamorfosi della fiaba, a cura di A. Articoni e A. Cagnolati

 


Tempi difficili nella Città grigia

Appunti e idee per il testo di una fiaba in musica per il terzo Millennio

da Charles Dickens a P. K. Dick, attraverso Italo Calvino e Gianni Rodari

 

di Gian-Luca Baldi

 

A Gianni Rodari

nel centenario della sua nascita

 

Introduzione

 

Giunti all’inizio degli anni Venti del Duemila, volgendo uno sguardo retrospettivo ad almeno una parte dell’immaginario fantastico degli ultimi decenni nella letteratura e nel cinema, due filoni sembrano a mio avviso predominanti: una continua rielaborazione e riproposizione - mediata e riletta in innumerevoli forme diverse dal linguaggio fantastico - del secondo conflitto mondiale, divenuto l’archetipo per eccellenza della lotta del bene contro il male (Il signore degli anelli di J.R.R. Tolkien e Harry Potter di J.K. Rowling, in primis); e una visione negativa del futuro (le due tematiche possono anche intrecciarsi), che riguarda tanto la fantascienza “colta” da Asimov a P. K. Dick[1], quanto, ad esempio, le saghe di supereroi che hanno dominato la settima arte nell’ultimo decennio (in particolare gli Avengers della Marvel e gli analoghi cicli della DC Comics), dove la visione del futuro diviene addirittura apocalittica[2].

Il linguaggio fantastico può dare un contributo importante alla comprensione dei grandi eventi storici del passato e in una maniera del tutto differente al linguaggio realistico: può entrare in profondità negli animi delle persone, raffigurando dei prototipi umani “universali” e perfettamente comprensibili e memorizzabili. Sia Tolkien che la Rowling, ad esempio, ben descrivono a fondo la natura del male e di come esso si propaghi all’inizio per debolezza e vigliaccheria, per miseri tornaconti personali e avidità, o per ottusa miopia. È quindi non solo comprensibile ma anche necessario che si senta la necessità di rielaborare, riconsiderare, metabolizzare e attualizzare un evento drammatico e catastrofico come la Seconda guerra mondiale in queste opere, e non ha nessuna importanza quanto sia più o meno consapevole questa operazione. Per quanto riguarda il secondo punto invece, mi colpisce constatare che l’uomo di oggi non riesca a rivolgere lo sguardo al futuro con fiducia e speranza[3]. E questa incapacità purtroppo ha conquistato soprattutto i più giovani, che si mostrano impauriti e confusi nel proiettarsi in un futuro che sono convinti sarà peggiore del presente. Viene inevitabilmente da domandarsi allora come potrà mai essere migliore il futuro se non riusciamo neanche ad immaginarlo tale? Immaginazione: ecco il punto. Immaginare significa creare, «una forte immaginazione crea l’evento» dice Montaigne (Montaigne 2017, p. 88)[4]. Il mondo che ci circonda ne è una dimostrazione, e per l’Homo sapiens[5] è sempre stato così: immaginare ciò che ancora non c’era per renderlo possibile e reale e cambiare così il mondo e avere una vita migliore. Ma se noi non crediamo più oggi in questa facoltà, o se rischiamo che essa entri in sofferenza e “deperisca”, o se semplicemente non riusciamo più ad usarla per guardare avanti e proiettarci con fiducia positivamente nel futuro, chi costruirà il nostro futuro per noi?

 

 

1.                  L’ineludibile necessità della fantasia

 

Due scrittori italiani del Novecento hanno lasciato un’eredità importante che può esserci oggi di grande aiuto per recuperare un “sogno di futuro”, per la chiarezza e l’acutezza della visione dell’uno; per l’entusiasmo e la fiducia nella possibilità di una società migliore nell’altro; per il credere fermamente entrambi nell’immaginazione e nel linguaggio fantastico, e soprattutto, infine, per averli sostenuti con forza in anni ad essi ostili. Sto parlando di Italo Calvino e Gianni Rodari[6]. Entrambi giungono alla scrittura fantastica provenendo da altri mondi, e sebbene agissero in ambiti del tutto differenti, ambiti i cui confini sono oggi fortunatamente molto più intrecciati e indistinti di allora (letteratura alta o nobile e letteratura per l’infanzia), sentirono ad un certo punto della loro carriera l’esigenza di chiarire ed esplicitare le ragioni delle loro scelte. Rodari nel 1973 con la Grammatica della fantasia, i cui contenuti approfondiremo tra poco. Calvino, che già nella prefazione alle Fiabe italiane Calvino lascia intendere il suo modo di concepire la narrazione fantastica - «Le fiabe sono vere. […] sono il catalogo dei destini che possono darsi ad un uomo e a una donna […], l’infinità possibilità di metamorfosi di ciò che esiste[7]» (Calvino 1956, p. XVIII) - solo poco prima di morire, con le Lezioni americane (scritte nel 1985 e pubblicate postume tre anni più tardi), ci svelerà del tutto il segreto della sua “svolta” e le convinzioni più profonde che ad essa sottendevano. É in Leggerezza che fornisce la prima chiave di lettura importante:

 

Presto mi sono accorto che tra i fatti della vita che avrebbero dovuto essere la mia materia prima e l’agilità scattante e tagliente che volevo animasse la mia scrittura c’era un divario che mi costava sempre più sforzo superare. Forse stavo scoprendo solo allora la pesantezza, l’inerzia, l’opacità del mondo: qualità che si attaccano subito alla scrittura, se non si trova il modo di sfuggirle (Calvino 1988, p. 6).

 

Come sfuggire a questa pesantezza, a questa inerzia? Calvino cita il mito di Perseo: così come l’eroe evita di rimanere pietrificato dalla Medusa e la sconfigge guardandola soltanto attraverso il riflesso del suo scudo di bronzo, così egli per vincere la pesantezza del reale, decide di raccontarlo attraverso immagini mediate e fantastiche. Ancora più rivelatoria forse Visibilità, l’unica lezione per la quale Calvino non indicò l’oggetto stesso della trattazione direttamente nel titolo (si tratta, in fondo, di un mascheramento vero e proprio): Visibilità affronta infatti il tema dell’immaginazione, dando vita a quella che a mio avviso si dimostra la lezione più complessa e, insieme ad Esattezza, il vero cuore di tutta l’opera. Eppure Calvino decise di non palesare quel “valore” nel titolo. Non conosciamo le ragioni di questa scelta, certo però non possiamo dimenticare che l’immaginazione era (e in molti casi lo è ancora), una facoltà scomoda e largamente criticata dagli intellettuali e da molti artisti del secondo dopoguerra[8]. Citerò a questo proposito la Postfazione[9] di Eugenio Montale ad un’edizione delle Cosmicomiche, nella quale, accanto alle parole di elogio, non è difficile scorgere in controluce una critica tagliente, soprattutto quando parla della «lucida intelligenza di uno scrittore che sta trincerandosi (ma forse non per sempre) in un suo fortilizio di disimpegno e di inappartenenza» (Montale 2015, pp. 143-145).

Dedicarsi alla letteratura fantastica dunque equivale per Montale, a quanto sembra, a trincerarsi in un fortilizio di disimpegno (e si augura al tempo stesso non sia per sempre), e già questo pregiudizio può spiegare molte cose. Chissà cosa avrebbe pensato invece Rodari, per il quale l’immaginazione e il fantastico erano strumenti rivoluzionari per sovvertire le società autoritarie e creare un mondo di uomini liberi! Strumenti nei quali riponeva grande fiducia e grande speranza. Edoardo Sanguineti, nel commentare la poesia di Rodari Fucilazione, scrive che ci vuole «una buona dose di immaginazione per credere che il mondo possa continuare a diventare più umano. Ma Rodari questa dose l’aveva» (Sanguineti 2011, p. XI).


[1] Cito solo alcuni esempi cinematografici: Ridley Scott, Blade Runner (1980), Wachowski & Wachowski, Matrix Trilogy (1999-2003), Proyas, Io, Robot (2004), ma gli esempi naturalmente sono numerosissimi. Questi due “elementi tematici” costituiscono una struttura portante che dà forma al tessuto narrativo principale ma che può contenerne molti altri. Tolkien e Rowling sono estremamente ricchi da questo punto di vista.

[2] Interessante il collegamento dell’immaginario di Tolkien con questi ultimi: in Avengers: Infinity war (2018)  sono le 6 gemme dell’infinito a garantire il potere supremo sull’universo tutto a Thanos; in Justice League (2017) della DC Comics, tre misteriose scatole madri che il malvagio Steppenwolf deve recuperare. Un chiaro riferimento agli Anelli. E altrettanto interessante il diverso sguardo di fiducia nell’umanità e nella gioventù di Tolkien e Rowling: il giovane Harry non avrà bisogno, per liberarsi della potentissima bacchetta magica di Sambuco, di un Gollum, egli stesso la spezza e la getta nel fiume, dimostrando così di non esserne corrotto, al contrario di Frodo, “il più puro tra i puri”, che non riesce a liberarsene volontariamente.

[3] Film come Tomorrowland Il mondo di domani (2015) e la sua visione ottimistica del futuro sono un’assoluta rarità. È indubbio che la fantascienza parli forse più del presente che non del futuro, e della visione più profonda che l’uomo ha di se stesso. Tuttavia, in questa visione, è compresa la percezione del futuro.

[4] Montaigne attribuisce in realtà questa frase ai «dotti».

[5] Sembra che proprio l’immaginazione, vale a dire una maggiore capacità di astrazione e di pianificazione fosse la carta vincente dell’Homo sapiens sul Neanderthal. Si veda C. Tuniz, Il patto tra Sapiens e lupi che ha sterminato Neanderthal, «Lettura», supplemento al «Corriere della sera» del 26 novembre 2017.

[6] A Rodari ho dedicato Grammatica dell’armonia fantastica (Anicia, Roma 2012), in cui ho cercato di rivedere il mio mestiere di insegnante e di compositore alla luce della sua Grammatica della fantasia, e una serie di brani musicali tratti dalle sue Favole al telefono per voce narrante e quintetto di fiati. A Calvino e alle sue Lezioni americane, ho dedicato Cronodiànoia o del realismo interiore (Armellin, Padova 2015), in cui ho cercato di trasportare e tradurre i cinque valori delle Lezioni nel linguaggio musicale, e il brano per violoncello e pianoforte Sei immagini poetiche per il terzo Millennio (Armellin, Padova 2014).

[7] Il corsivo è mio.

[8] «L’immaginazione, questa facoltà meravigliosa, se è lasciata senza controllo, non fa altro che appoggiarsi sulla memoria. La memoria riporta alla luce cose risapute, sentite o viste, un po’ come i ruminanti rigurgitano l’erba. E’ forse masticata, ma non è digerita né trasformata. Tutti questi ricordi che sembrano tornare spontaneamente e senza sforzo danno l’impressione di possedere una fertile immaginazione… Mi oppongo a tale ingenua illusione». Boulez P. (1990), Il paese fertile – Paul Klee e la musica, Leonardo, Milano, pp.146-147.

[9] Apparsa per la prima volta con il titolo È fantascientifico ma alla rovescia sul «Corriere della sera» del 5 dicembre 1965.

Nessun commento:

Posta un commento