giovedì 2 luglio 2020

Programma di sala MITO 2016 - Hollywood andata e ritorno


HOLLYWOOD, ANDATA E RITORNO


Avevano nelle orecchie Richard Strauss, i compositori di colonne sonore. E così la musica da film degli anni d’oro di Hollywood diventò un prolungamento involontario del suo stile. Oggi Rolf Martinsson inventa partiture che sanno chiudere il cerchio: nascono per la sala da concerto ma hanno il sapore del cinema.




Richard Strauss
(1864-1949)

Don Juan, poema sinfonico op. 20


Erich Wolfgang Korngold
(1897-1957)

Musica per i titoli di testa da Le avventure di Robin Hood


Rolf Martinsson
(1956)

Concert Fantastique op. 86 per clarinetto e orchestra (2010)
 1 solo mov.
Prima esecuzione italiana


Miklós Rózsa
(1907-1995)

Ben Hur Ouverture


Richard Strauss

Danza dei sette veli da Salome


Max Steiner
(1888-1971)

Suite da  Via col vento

Suite da Casablanca



Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
John Axelrod, direttore
Magnus Holmander, clarinetto

«Cinematic» – cinematografica – è stata definita dal critico statunitense Phillip Huscher la musica di Richard Strauss, perché capace di descrivere personaggi, luoghi e azioni senza bisogno di parole.
Non è un caso quindi che molti dei compositori degli anni d’oro di Hollywood – e tra questi alcuni dei protagonisti di questa serata, come l’ungherese Miklós Rózsa e gli austriaci Erich Wolfang Korngold e Max Steiner -  ne avessero ‘lo stile nelle orecchie’.
Ricchezza di colori, incontenibile energia vitale, cantabilità trascinante e ammaliante ma intimamente moderna, fanno della musica di Strauss un blend unico che si è dimostrato da subito perfetto per il grande schermo e non soltanto come fonte di ispirazione per i compositori di colonne sonore: basti pensare al ruolo che Stanley Kubrick affidò in 2001: Odissea nello spazio (1968) all’energia esplosiva di Also Sprach Zarathustra.
Tra le caratteristiche di questo stile è forse proprio l’energia vitale a costituire il filo rosso che collega i brani che verranno eseguiti questa sera. Una vitalità dirompente ed una ‘sete di vita’ perfettamente simboleggiate dal Don Juan, il cui disegno iniziale degli archi apre come una fiammata la composizione e le cui prime battute, scandite da timpani ed ottoni hanno fatto evidentemente scuola a Hollywood; la stessa energia vitale che si ritrova poi in Robin Hood, in Giuda Ben Hur, in Rhett Butler di Via col Vento, in Rick Blaine di Casablanca e nel Concert Fantastique di Martinsson.
Il primo della fortunata serie dei poemi sinfonici di Strauss, composto in soli quattro mesi nell’estate del 1888, il Don Juan ebbe da subito un’accoglienza clamorosa («un uragano di applausi», secondo le parole del suo autore),  e spinse il giovane compositore rapidamente verso il successo.
In partitura (prassi abituale per i poemi sinfonici il collegamento ad un testo poetico) Strauss inserì tre estratti del poema omonimo del poeta austriaco Nicolas Lenau (1802-1850), tra cui i versi: «Io voglio attraversare in una tempesta di piacere il cerchio magico della bellezza femminile e morire di un bacio sulle labbra dell’ultima donna…». Ma se il riferimento letterario è Lenau, non possiamo dimenticare che Strauss, prima di cominciare a comporre il suo Don Juan, aveva da poco diretto il Don Giovanni di Mozart: resta difficile immaginare che almeno parte di quell’incredibile vitalità non lo avesse contagiato.
La danza dei sette veli è tratta invece dall’opera in un atto e un balletto Salomè (da Wilde) del 1905.  La danza è quella in cui Salomè seduce Erode e ottiene che venga tagliata la testa di Jochanaan, il profeta (Giovanni Battista). Il sapore orientale delle melodie, il ricco colore esotico dell’orchestrazione hanno veramente fatto scuola nella musica hollywoodiana.
Il nome di Strauss ricorre anche nella biografia di Erich Wolfang Korngold, salutato al suo arrivo a Hollywood come un novello Mozart. Strauss infatti ebbe modo di incontrarlo da bambino e apprezzarne le precocissime doti di pianista, direttore d’orchestra e compositore.
Korngold, insieme a Miklós Rózsa, fu prima di tutto un compositore cameristico, sinfonico e di teatro musicale. Raggiunse il successo già a undici anni con un balletto (Der Schneemann), ma fu forse con la sua opera, La città morta (Die Tote Stadt, del 1920) che ottenne il successo più importante e duraturo, conquistando i teatri di tutta Europa, prima di essere costretto a trasferirsi negli Stati Uniti.
Declinò più volte l’offerta di lavorare per Le avventure di Robin Hood (1938), perché pur ritenendolo un buon film, conteneva troppe scene d’azione e – a suo avviso – avrebbe avuto troppo poco tempo per scriverne le musiche.  Alla fine accettò e completò le musiche in sette settimane, per quella che fu la produzione più costosa mai realizzata fino a quel momento.
Il Concert Fantastique  di Rolf Martinsson (1956), uno dei più acclamati e prolifici compositori svedesi della scena contemporanea,  nasce dalla strettissima collaborazione tra il compositore e il clarinettista Martin Fröst. Sebbene il titolo abbia origine da una suggestione dello stesso interprete, Martinsson ci rivela che, nelle sue intenzioni, esso fa riferimento soprattutto alle doti straordinarie di artista e musicista di Fröst. «Durante uno dei nostri incontri», scrive Martisson,  «Martin si mise improvvisamente a suonare il clarinetto con incredibile velocità, morbidezza e fluidità. Il che mi fece pensare subito ad un colibrì che fluttua nell’aria e si muove rapidamente da un fiore all’altro». Il concerto fa parte di una serie di concerti composti da Martinsson per strumento solista, tra cui il Concerto per tromba e il Concerto per flauto, marimba e archi.
Col Concert Fantastique torniamo nell’ambito della musica ‘pura’, composta cioè per il palcoscenico e non per lo schermo. Eppure, come nel caso di Strauss, ritorna prepotentemente anche un termine: ‘cinematic’. Il concerto  infatti riesce a combinare la solidità, la profondità e il senso della forma della tradizione dei grandi compositori della musica classica, con la capacità di comunicare e soprattutto di evocare delle narrazioni attraverso i suoni.  Martinsson costruisce una vera  e propria drammaturgia col suo Concerto, carica di immagini ‘cinematografiche’ vivissime, in una sintesi felice di linguaggi molteplici, che da una parte devono molto ai grandi compositori di Hoollywood - nei colori orchestrali, nella luminosità e immediatezza di alcune melodie, nei ritmi incalzanti e nell’ampia tavolozza espressiva - e dall’altra anche a grandi compositori americani del Novecento, dei quali si colgono a volte risonanze discrete e fuggevoli, come Gershwin e Copland.
Miklós Rózsa, compositore  ungherese, fu insieme a Korngold uno dei pochi compositori che riuscì a conciliare la carriera di compositore per il cinema a quella di compositore per le sale da concerto, con numerose e apprezzatissime esecuzioni e registrazioni, tra le quali un Concerto per violino e un Tema, Variazioni e finale.  Con Ben Hur (1959) vinse il suo terzo Oscar, dopo Io ti salverò di Alfred Hitchcock (1945) e Doppia vita di George Cukor (1947).
Altro compositore proveniente dall’Austria, Max Steiner fu un lavoratore instancabile: nel solo 1939 lavorò a ben dodici film, tra cui Via col vento. Steiner compì uno sforzo straordinario per terminare in tempo l’enorme quantità di musica che le tre ore del film richiedevano: venti ore al giorno di lavoro con assistenza medica (e la somministrazione controllata di anfetamine, fino al 1959 sostanze legali negli Stati Uniti) per dodici settimane consecutive e un gruppo di cinque collaboratori.
Storia controversa invece quella di Casablanca (1942), dove l’uso della canzone chiave del film As time goes by di Herman Hupfeld,  fu oggetto di un dissidio tra i produttori e Steiner, che la riteneva non adatta.  Alla fine il compositore riuscì a convincere la produzione ad eliminarla e a rigirare la scena che la conteneva. Tuttavia, al momento di inserire la nuova canzone, scritta appositamente da Steiner e di rigirare la scena coinvolta, si scoprì che l’attrice Ingrid Bergman si era tagliata i capelli corti per girare Per chi suona la campana, e fu quindi impossibile sostituirla. Nella Suite tratta dalle musiche del film, oltre alla canzone e alle musiche originali di Steiner si udrà più volte la Marsigliese, un riferimento alla Francia non occupata di Pétain, di cui il Marocco francese faceva parte.

                                                                                                                      Gian-Luca Baldi







Max Steiner



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