Haruki Murakami, Norwegian
wood
Uscito in Italia nel 1993 col
titolo di Tokio Blues, il romanzo di Murakami è stato recentemente ripubblicato
col titolo originario di Norwegian wood,
un riferimento esplicito e dichiarato ad una canzone dei Beatles (tratta da
Rubber soul del 1965 e scritta da John Lennon). Per quanto il titolo giapponese
sia un travisamento dell’originale inglese: ‘legno norvegese’ è infatti
diventato ‘bosco norvegese’ nella traduzione.
Murakami cominciò a lavorare al
romanzo, tratto dalla sua novella Hotaru (La
lucciola) nel 1986, a Mykonos, e lo completò alla periferia di Roma, nel
quartiere Prenestino.
Se in musica appare decisamente
difficile sfuggire alla dialettica A–B, che può ritrovarsi tanto nelle più semplici
Ballate, come ad esempio Suzanne (1967)
di Leonard Cohen, quanto nella musica strumentale più complessa dei grandi
compositori classici fino a composizioni come Microphonie 1 (1966) di Karlheinz Stockhausen o addirittura nel
brano Sud di Jean-Claude Risset, un
esempio di musica concreta (fatta con suoni registrati ‘reali’), nel quale la B
(si passa dai suoni di una spiaggia e delle onde a quelli del bosco) arriva
esattamente intorno ai 40 secondi, come il secondo tema di maggior parte delle
sinfonie classiche; allo stesso modo in letteratura è davvero difficile
sfuggire alle due possibilità di una ‘narrazione in prima o in terza persona’.
Eppure all’interno di questo
strutture date, il ventaglio di sfumature e di personalizzazioni da parte di un
autore appaiono davvero infinite.
Murakami sceglie una formula apparentemente
comunissima per Norwegian wood, una
narrazione in prima persona, attraverso un lunghissimo flashback.
Eppure, man mano che si procede
nella storia, ci si rende conto di una particolarità del tutto unica di questo
io narrante, vale a dire della sua leggerezza.
Invece di appesantire la pagina con
pensieri e riflessioni, invece di inondarla da un flusso di coscienza
inarrestabile, il protagonista, Toru Watanabe, appare un io discreto, riservato
e parsimonioso nel confidare al lettore i propri pensieri e i propri sentimenti.
Questa leggerezza dell’io narrante, questa sua trasparenza, porta ad una
maggiore apertura nei confronti del mondo che lo circonda. una maggiore
attenzione alla realtà esterna, un maggiore ascolto. Noi entriamo nel mondo del
protagonista guardandolo con i suoi occhi ma senza essere appesantiti e frenati
dalle sue strutture mentali.
Watanabe guarda, vive, riporta,
timidamente riflette ed annota, e noi con lui viaggiamo, passo dopo passo, nel
mondo nel quale è immerso, con la valigia leggera.
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