
sabato 29 dicembre 2018
venerdì 28 dicembre 2018
venerdì 7 dicembre 2018
Nel favoloso mondo della musica
Nel favoloso mondo della musica
Introduzione al suono e alla musica, per bambini e ragazzi (dalla quarta elementare)
Un libro nato per caso e quasi controvoglia, ma che alla fine mi ha profondamente appassionato, in uscita presso la prestigiosa collana scientifica per ragazzi (La grammatica in gioco, Il cervello, Tutto è chimica, Le meraviglie dell'aritmetica e molti altri) dell'Editore Dedalo nella prossima primavera,
e per il quale devo ringraziare Emanuele Arciuli e Paola Antonioli.
Nato soprattutto dalle numerosissime domande dei bambini del Laboratorio Corale Pluriennale delle classi quarte e quinte della Scuola Primaria Gianni Rodari di Santa Giustina (BL) e dalla collaborazione con la loro maestra, Sonia Garna.
domenica 18 novembre 2018
Premio speciale della giuria
Le tessitrici dell'ultimo giorno - La notte delle nove streghe
Con lo pseudonimo di mia madre, ho ricevuto questo premio, la cui motivazione mi rende particolarmene felice, per un romanzo che mescola molto i generi, dalla fantascienza al romanzo filosofico, dall'horror al psicologico e al fiabesco...
Con lo pseudonimo di mia madre, ho ricevuto questo premio, la cui motivazione mi rende particolarmene felice, per un romanzo che mescola molto i generi, dalla fantascienza al romanzo filosofico, dall'horror al psicologico e al fiabesco...
martedì 30 ottobre 2018
venerdì 19 ottobre 2018
da Le tessitrici dell'ultimo giorno - La notte delle nove streghe
1– Oltre il confine (le due streghe)
I
Guidavo da più di
quindici ore. Alla stanchezza era subentrato uno stato di stupore e di
smarrimento, ma non potevo fare altro che aggrapparmi all’unica certezza che
avevo: dovevo andare avanti, non era possibile fermarsi. Dovevo raggiungere il
confine al più presto. Quella notte sapevo ancora esattamente da cosa stavo
fuggendo e cosa mi lasciavo alle spalle; sapevo chi ero e perché mi trovavo
nelle regioni ‘oltre il confine’.
Eppure mi fermai.
Forse perché non stavo
guidando attraverso una notte come tutte le altre, una di quelle notti che
seguono naturalmente al giorno, e che ne rappresentano la sua naturale
trasformazione.
Ricordo bene quella
sensazione. Era come se il giorno fosse morto, e il suo corpo giacesse
abbandonato ed inerme sulla volta celeste, soffocandola, e grondando sangue: l’oscurità
era un liquido denso, nero e viscoso che pesava sul tetto della macchina,
penetrando lentamente attraverso le fessure.
Ma quell’oscurità, pesava
soprattutto sul mio cuore, che era come una piccola creatura nuda, immersa in
quel liquido bruciante. Mi sembrava che stesse sul punto di affogare. Non
riuscivo a respirare. Quel liquido mi premeva anche sui polmoni e sul viso.
Sembrava entrarmi nella mente.
Quando vidi la casa
nera perciò non potei fare altro che fermarmi, scendere e andare a bussare.
Scesi dalla macchina e
lasciai tutto lì, non ricordo altro.
Una piccola casa di
campagna a due piani.
Ma si accese una luce,
e vidi un’ombra muoversi. Chiunque fosse in quella casa mi aveva sentito.
Dovevo farmi vedere.
Scesi dalla macchina e
bussai. Dapprima timidamente, poi con più energia.
Stavo per tornare indietro,
quando sentii una voce flebile dire qualcosa. Mi avvicinai alla porta.
venerdì 28 settembre 2018
Prometeo - Franz Schubert II parte
Gian-Luca Baldi
Il lungo cammino di Franz Schubert
– II parte
Ellens dritter Gesang: Ave Maria
Nel 2018 due guizzi di sobria notorietà hanno
aiutato Franz Schubert, la cui musica sembra ‘pervadere’ la modernità in
maniera generalmente discreta e quasi invisibile, ad attirare l’attenzione di
un pubblico più vasto. Nel mese di maggio, attraverso la diretta televisiva del
matrimonio del principe Harry, il nome di Schubert è risuonato in tutto il
mondo, mentre la sua musica si diffondeva dalla Cappella di St. George. Si
trattava della famosissima Ave Maria,
un brano che accompagna ormai da decenni, nonostante i veti e divieti di tante
autorità ecclesiastiche, i matrimoni di ogni classe sociale, dalle più umili fino,
evidentemente, alle famiglie reali, in una versione per violoncello e orchestra
affidata alla giovane promessa Sheku Kanneh-Mason, la cui compilation è saltata
subito in vetta alle classifiche. A questo proposito, anche per comprendere le perplessità
della Chiesa, vale la pena di ricordare che non si tratta di un brano sacro
(sebbene oggi si cantino anche versioni che al testo originale sostituiscono la
preghiera cattolica alla Madonna), ma del
sesto di un gruppo di sette Lieder tratti da La donna del lago di Walter Scott, romanzo che anche Rossini aveva
utilizzato per la sua opera omonima, del 1819: Liederzyklus von Fräulein vom See (Ciclo di Lieder sulla Donna del
lago). Il titolo originale dell’Ave Maria
è Ellens dritter Gesang – Terzo canto
di Ellen, dove Ellen Douglas, la
donna del lago, si rivolge alla Vergine Maria affinché protegga il ribelle Roderick
Dhu, dei clan scozzesi del nord, che sta per andare in battaglia contro il re
Giacomo V. Composto nel 1825, questo ciclo di sette Lieder sembra sia stato
eseguito per la prima volta in onore della Contessa Sophie Weissenwolff, nel
suo castello di Steyregg. Significativo quello che scrive Schubert al padre a
proposito dell’Ave Maria in una
lettera del 25 luglio: «Tutti fanno grandi meraviglie di fronte al fatto che io
sia stato capace di esprimere una devozione così sincera, in un inno alla Beata
Vergine, un inno che, a quanto sembra, fa presa sull’animo di ciascuno, e
ispira sentimenti di pietà religiosa. Credo che questo dipenda dal fatto che io
non mi sono mai imposto di essere devoto, e che non ho mai composto inni e
preghiere se non quando mi sentivo istintivamente ispirato da un sentimento
religioso sincero. E credo che in questo consista la vera e autentica
devozione» (Einstein 1978, p. 313). Emerge qui chiaramente, a proposito della
disposizione del compositore nei confronti della devozione e dello scrivere
brani di ispirazione sacra, uno dei caratteri distintivi della personalità
musicale di Schubert, e cioè il fatto che egli «non scrisse su commissione se non
in casi rarissimi e poco importanti. Anche sotto questo riguardo egli divenne
un modello del compositore ottocentesco, che obbedisce soltanto alla sua
ispirazione» (Paumgartner 1981, p. 232). E non solo. C’è nel suo comporre una
leggerezza, una facilità, una naturalezza che non si riscontra in altri
compositori. Non certo in Beethoven di cui era noto il travaglio artistico,
fatto di bozze preliminari, appunti, versioni scartate e cancellature
molteplici, ma nemmeno in un Mozart, al quale una prodigiosa memoria musicale
consentiva di tenere a mente anche per mesi le proprie composizioni, rifinendole
nei minimi dettagli ‘interiormente’, e di scriverle solo quando erano ormai
perfettamente compiute. Per quanto non possa dirsi che l’arte di Schubert fosse
priva di riflessività e ponderatezza (processi interiori dei quali è possibile
per noi scorgere solo la cima dell’iceberg), in lui l’idea musicale sembrava
sgorgare veloce e con facilità, quasi in uno stato di chiaroveggenza o di
trance, dove l’artista si lasciava guidare da un intuito infallibile e da una
visione chiara della forma e del divenire musicale. È proprio l’Ave Maria che ci fornisce in fondo un
ottimo esempio dell’arte di Schubert: un accompagnamento semplice, il
pianoforte sembra quasi imitare una chitarra, come nel Lied Ständchen (Serenata); un’armonia
trasparente e solo apparentemente ordinaria, che riserva in realtà piccole ed
elegantissime sorprese, evitando così qualsiasi rischio di banalità; un senso
della melodia squisito, del tutto ‘italiano’. Non è certamente un caso,
d’altronde, che Schubert studiò cinque anni con Antonio Salieri che della
scrittura vocale faceva il perno del suo magistero didattico. Anche se c’è da
dire che i compositori austriaci del periodo classico, Mozart primo fra tutti
(e abbiamo già detto che Haydn studiò don l’operista napoletano Nicola Porpora),
seppero combinare intimamente la tradizione vocale italiana a quella
strumentale tedesca, ottenendo così dei risultati straordinari.
venerdì 21 settembre 2018
domenica 9 settembre 2018
Un nome veramente buffo
da Storie di nomi e di parole
“Ciao amore, tutto bene? Ha chiamato qualcuno? Hai
finito i compiti?”
“Ciao mamma…ho quasi finito, mi manca solo un po’ di
geografia…ah sì, ha chiamato un signore che si chiamava…si chiamava…aveva un
nome buffissimo, impossibile da ricordare!”
“Ma te l’ho detto mille volte caro di scrivere
quando telefona qualcuno, poteva essere importante!”
“Ma l’ho scritto mamma, l’ho scritto! Poi però è
venuto il papà, ha preso il bigliettino e l’ha usato per scrivere delle cose che
doveva comprare lui…appena ritorna, riporterà il foglietto e ci sarà il nome”.
“E se nel frattempo lo ha perso?”
Il figlio alza le spalle.
La mamma intanto posa la grande borsa colorata e va
in bagno.
“Ah che caldo oggi”, dice parlando dal bagno, con la
porta socchiusa,” veramente un gennaio così non lo ricordavo! Ci saranno almeno
trentasei gradi! Tesoro mi lavo un po’ e poi ti sento i compiti”.
“Va bene mamma! E’ vero che andremo in un posto
lontanissimo in vacanza quest’anno?”
“Sì, il papà ha scelto un posto sulle nevi, ma io
vorrei andare al mare…”
“La neve! La neve! Voglio vedere la neve!”
“Quando torna il papà ne parleremo tutti insieme…e
tua sorella dov’è”.
“E’ salita dalla nostra vicina, torna subito…”.
La mamma si lava e poi si mette a preparare la cena.
“Allora cosa hai studiato tesoro, oggi?”
“Lo sai che esiste una città costruita su sette
colli come la nostra?”
“Ma davvero? E dov’è?”
In quel momento arriva il padre.
“Papà, papà, allora andiamo sulla neve, andiamo?”
Il padre poggia la sua borsa e una cartellina sul
tavolo. Dà un bacio al figlio e poi abbraccia la moglie.
“Guardate”, dice poi, tirando fuori dei fogli dalla
cartellina, “vorrei portarvi in un posto veramente speciale e lontanissimo da
qui, sul vulcano Eyjafjallajökull (si
pronuncia ejafjatlakutl)…”.
“Un vulcano? Ma io voglio andare
sulla neve!”
“Ma questo è un vulcano
dormiente, sul quale si trova uno dei più grandi ghiacciai del mondo, e visto
che devo andare in Islanda per lavoro…”
“Per lavoro,
naturalmente…”, dice la madre delusa.
“Io preferivo andare”,
aggiunge, “in un bel posto di mare, su di un atollo meraviglioso delle Maldive,
come a Vakarufalhi,
ci sono stati da poco i nostri amici…”.
“E’ un posto carissimo!”, dice il marito.
“E quel paese che hai detto tu dall’altra parte del
mondo! Senti mio caro, io so già come andrà a finire! Tu starai tutto il giorno
a lavorare, e noi moriremo di freddo. Cosa si fa su di un ghiacciaio? Quando lo
hai visto una volta poi hai solo voglia di andare a casa al caldo!”
“Ascolta tesoro, l’Islanda è un paese misterioso e
affascinante, e poi la stessa cosa potrei dirti io: cosa ci faccio tutto il
giorno fermo su di un atollo grande come un fazzoletto?”
A questo punto dobbiamo scoprire però dove abita questa famiglia.Pensavamo forse che abitasse a Roma, per via dei sette colli... Ma a Roma a gennaio non ci possono essere trentasei gradi! In realtà esiste un’altra città costruita su sette colli e vicina al mare, e si chiama Thiruvananthapuram (che significa "Città del Signore Anantha e si pronuncia Tiruvanŭntapuraṁ), una città di quasi un milione di abitanti dell'India meridionale, nei pressi dell'estrema punta meridionale del subcontinente indiano.
A Thiruvananthapuram è caldo tutto l’anno, ed è qui che abita questa famiglia.
Intanto il loro figlio, Bhamhaghosh per far smettere di litigare i genitori, cerca di cambiare discorso.
“Papà, hai riportato il foglietto dove avevi scritto le tue cose?”
“Che foglietto?”
“Non ti ricordi? C’era un foglietto accanto al telefono, e tu l’hai preso per scriverci sopra…”.
Il padre si ferma un attimo a pensare. Poi si cerca nelle tasche, cerca nella cartellina e infine cerca anche nella borsa piena di oggetti. “Eccolo”, dice porgendo al figlio un foglio tutto accartocciato.
Bhamhaghosh lo prende e cerca di leggerlo:
“Ecco mamma, il signore che ti aveva cercato e che ha un nome buffissimo e impronunciabile si chiama…ecco, non so neanche pronunciarlo…leggilo tu!”.
La mamma prende il foglietto e legge:
“Ma è quel signore mandato dal consolato italiano, si chiama, si chiama…”.
E tutti, papà, mamma e figlio, della famiglia KRISHNAMURTHY, che si chiamano Chandrabhushan (il papà), Bhagyalakshmi Vijayalakshmi (la mamma), e Bhamhaghosh (il figlio), si mettono a ridere a crepapelle…
“Si chiama Mario Rossi, non è buffo?”
giovedì 30 agosto 2018
Da Miniature amare
Un mattino
Vi assicuro che fino a ieri sera era tutto come era sempre stato. Al massimo fino a due sere
fa, ne sono sicuro. Negli ultimi giorni sono stato molto occupato, è vero. Non
sempre ho tempo per leggere i giornali o seguire i tg. Magari sarà una
settimana che non seguo attentamente tutti gli avvenimenti. Ma non è successo
nulla di importante. Ne sono sicuro. L’Europa era sempre la solita fino a ieri.
La cara, vecchia Europa. Poco tempo fa i miei figli hanno celebrato la giornata
dello Shoah a scuola, come ogni anno. Ci sono state le elezioni regionali da
poco, con le solite promesse, e i soliti litigi. Tutto normale. Questa mattina,
ne sono sicuro, il mondo era esattamente come era sempre stato, e allora non
capisco. Come può succedere questo, ora.
Stamattina mi sono svegliato molto presto, per una
consegna. Ho preso prima l’autostrada, poi la corsia superveloce. Che grande
invenzione la corsia superveloce! Solo certi modelli di macchina, con al
massimo due anni di anzianità, possono utilizzarla, e fare i cento ottanta
chilometri all’ora. Fantastico. Non ci si può fermare per lunghi tragitti, è
vero, e non si può tornare indietro. Ma è comodissima. Si entra in un tratto di
centocinquanta chilometri, e via: si arriva in un attimo.
Adesso però non capisco cosa siano tutte queste
bandiere con le croci uncinate lungo la strada, e questi manifesti. E non posso
fermarmi né rallentare. Devo proseguire la mia corsa e arrivare dritto al posto
di blocco e all’ingresso del Nuovo Reich. Ma non c’è mai stato un confine da
quella parte! Davvero non capisco. I manifesti parlano di Fuhrer, di
obbedienza, di ordine e disciplina. Di punizione. Invitano tutti ad arruolarsi
nella squadra volontaria obbligatoria dei cittadini del Reich. E poi ancora
croci uncinate, ovunque. Ci sono grandi drappi rossi e neri che sventolano
lunghe le pareti che separano le corsie. Le croci sono diverse però, da quelle
che ricordavo. Sono tridimensionali e luccicanti. I passeggeri delle auto che
mi precedono non sembrano nemmeno notarle. Eppure sono sicuro che non più di
una decina di giorni fa tutto questo non c’era, al massimo due settimane.
D'altronde non posso sempre seguire tutto quello che succede nel mondo. Ho un
lavoro da portare avanti.
Adesso però non posso nemmeno rallentare. Sto correndo
a cento ottanta all'ora verso il Nuovo Reich, e non c’è modo di invertire la
marcia. Tra meno di dieci minuti sarò lì, e non ci sarà nulla da fare. Non
posso che corrergli incontro.
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