venerdì 23 settembre 2016

Breve estratto dell'intervista a Paolo Troncon, dall'articolo apparso sulla rivista Prometeo del settembre 2016 - 'Dialogo sui conservatori'



Conversazione con Paolo Troncon sull’oggi e il domani dei conservatori

G.L. B. « Sono passati diciassette anni dalla legge 508 e dall’inizio della riforma, ma il cammino non è ancora compiuto, e tante cose restano da decidere e definire».
P. T.: «Se noi diamo uno sguardo alla storia, ci rendiamo conto che dall’Unità d’Italia ad oggi abbiamo assistito a due grandi riforme dei conservatori, ciascuna delle quali ha impiegato tra i sessanta ed i settant’anni per compiersi. La prima, avviata nei primi anni Sessanta dell’Ottocento, ed affidata alla guida illuminata di Giuseppe Verdi, è arrivata a pieno compimento nel 1930, col Regio Decreto n.1945, e ha dato vita a quei programmi sui quali hanno studiato decine e decine di generazioni, e che non sono andati del tutto in pensione con la Riforma del 1999, ma sono rimasti con i corsi ad esaurimento del ‘vecchio conservatorio’, e si estingueranno definitivamente solo verso il 2022. La seconda riforma è appunto quella legata alla L. 508, il cui lungo processo cominciò con gli anni Sessanta, e le riflessioni e sperimentazioni di quel periodo. Ma potremmo spostare la lancetta dell’orologio fino al 1948, l’anno in cui il ministro Gonella inviò un questionario ai docenti dei conservatori al fine di raccogliere proposte per la riforma degli studi musicali… L’integrazione europea e il cosiddetto processo di Bologna (la Conferenza dei ministri dell’Istruzione di 29 Paesi europei, riunitasi a Bologna il 19 giugno 1999, nella quale si fissavano una serie di obiettivi da realizzare entro dieci anni, N.d.A.) hanno poi dato la spinta definitiva».
G.L. B. «Tuttavia è innegabile che qualcosa si sia inceppato…»
P. T. «Mancano ancora tutta una serie di decreti attuativi e di passaggi fondamentali per portarla a pieno regime, e di questo è naturalmente responsabile la politica, che sembra occuparsi a fatica e controvoglia dei conservatori;  ma al tempo stesso il corpo docente si è dimostrato in molti casi restio se non del tutto ostile a recepire i cambiamenti. Questa duplice inerzia, della politica e del corpo docente, ha fatto sì che la riforma procedesse lentamente e con evidenti e continue contraddizioni, producendo un essere ibrido, rimasto a metà strada tra un’istituzione di formazione superiore, al pari dell’Università (ma non esattamente la stessa cosa), e il vecchio conservatorio, che già possedeva anime molteplici, come abbiamo visto».
G.L. B. «Dell’inerzia del corpo docente, essendo io un docente, entrato in ruolo proprio nell’anno della riforma, e avendo vissuto giorno per giorno le difficoltà, le contraddizioni ed i problemi della riforma sulla mia pelle e quella degli allievi, non posso non vedere e condividere molte delle ragioni. Alcuni elementi specifici dell’insegnamento musicale infatti, non sono stati colti propriamente dal legislatore, che ne ha stravolto l’essenza, con conseguenze spesso piuttosto gravi. Tuttavia non posso negare che spesso noi docenti non abbiamo forse semplicemente avuto la voglia di metterci in gioco, di imparare un nuovo modo di essere docente, un modo nel quale eravamo coinvolti in maniera più collegiale. Mentre il conservatorio del passato era fatto da tante personalità isolate, che raramente dovevano interagire, oggi è un complesso equilibrio in cui ogni docente è chiamato a dare il suo contributo armonizzandosi in un tutto, proprio come uno strumentista in un’orchestra. Ma, lontano dalla partitura e dal palco, anche in presenza di un buon ‘direttore’, il musicista sembra fare molta più fatica ad andare ‘a tempo’ e suonare insieme agli altri».
P. T. «Noi Italiani abbiamo un grande valore individuale, ma facciamo fatica a fare squadra. Come ha sottolineato recentemente  l’allenatore italiano del Leicester, Ranieri, due inglesi fanno una nazione, da noi non bastano cinquanta milioni di italiani…»
G.L. B. «Facciamo un passo indietro. Cosa è diventato dunque oggi il conservatorio con la legge 508?»
P. T. «Con la legge 508 il conservatorio diventa un’Istituzione di 3° livello, cioè di formazione superiore, insieme all’Università (ma distinta da essa), e all’Alta formazione (corsi tecnici superiori). ‘L’antico’ percorso che durava dieci anni, viene diviso ora a metà: la prima parte, la fase di apprendistato di un musicista, viene in teoria sottratta ai conservatori (vedremo in seguito perché ‘in teoria’ N. d. A.) e affidata a tutta una serie di soggetti diversi, tra i quali le scuole medie ad indirizzo musicale, i licei musicali e le scuole private; la seconda parte, suddivisa a sua volta in un 3 + 2, viene considerata universitaria, e destinata ad allievi maggiorenni in possesso di un diploma di scuola media superiore (salvo eccezioni in caso di studenti con particolari attitudini musicali). Viene rilasciato un Diploma di I livello (equipollente alla L3 universitaria) e un Diploma di II livello (equipollente alla LM45 universitaria), equipollenti, non equivalenti, ai soli fini dell’accesso ai pubblici concorsi ai Diplomi di laurea universitari. Per questa ragione non è corretto parlare di Laurea, e sbagliano quei conservatori ed istituti accreditati che si fregiano di tale titolo.
Gli istituti oggi che possono fare questo, e che possono considerarsi in un certo modo ‘conservatori’ sono ben 82: 55 conservatori, più quattro sedi staccate, 18 ex pareggiati e 4 accreditati (Scuola di Fiesole, Saint Louis College of Music di Roma, Civica di Milano e Siena Jazz)».
G.L. B. «Il trovarci in questo terzo livello, insieme all’università ha creato non poche resistenze e perplessità… »

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