AMERICAN
LANDSCAPES
Sapore di futuro,
o meglio, di un presente fatto di giorni nuovi e non di quelli che si ripetono
identici ormai da decenni ed ai quali non abbiamo il coraggio di attaccare
l’etichetta ‘passato’: questa è forse la caratteristica principale delle
musiche che si ascolteranno questa sera. I compositori americani in questo
hanno sempre avuto un dono particolare, muovendosi spesso con libertà e
preveggenza, forse perché lontani dal
peso delle tradizioni e del fardello culturale e artistico della Vecchia Europa.
Non dimentichiamoci infatti di Charles Ives che con il suo geniale Central Park in the Dark, del 1906, lasciava
intravedere i primi raggi del nuovo secolo in anticipo sui colleghi europei.
Quel secolo, il
Novecento, che ci siamo ormai lasciati alle spalle da quasi vent’anni, e che è
stato caratterizzato da un’incredibile ricchezza e varietà di stili e
linguaggi. Il futuro non poteva quindi che presentarsi come tentativo di
ricomporre tale ricchezza in una sintesi più grande. Siamo forse solo
all’inizio di questo processo, ma nel concerto di questa sera possiamo
coglierne il profumo intenso che comincia a disvelarsi.
La sintesi coinvolge
tanto i mondi linguistici - ricordiamo che Parry occupa trasversalmente due
continenti musicali ritenuti generalmente inconciliabili: quello della musica
pop-rock (è membro del gruppo Arkade Fire) e quello della musica classica contemporanea,
così come McGowan cita tra le sue influenze predominanti il gruppo metal
svedese Meshggah; quanto l’incontro tra le arti: infatti, altri grandi protagonisti
del concerto di questa sera sono l’immagine visiva e la luce, siano esse colte
nel paesaggio o nelle opere d’arte.
Altro dettaglio
importante, si nota in queste nuove generazioni di compositori - tutti nati
negli anni Settanta ed Ottanta, a parte Adams - la cifra dell’aggregazione in
gruppi o collettivi, come Timo Andres e Christopher Cerrone che appartengono
entrambi agli Sleeping Giant, un collettivo di sei giovani compositori i cui
lavori si stanno imponendo all’attenzione della critica e vengono eseguiti
tanto nei Concert Hall che nei Club americani ed europei.
Si comincia stasera
col più anziano, John Luther Adams (1953), da non confondere col quasi omonimo
e più famoso John Adams, uno degli esponenti più importanti del vastissimo e
variegato mondo che passa sotto la imprecisa definizione di ‘Minimalismo’.
-John Luther Adams
- The Light Within
Adams ha da
sempre cercato di esprimere attraverso ogni mezzo musicale a sua disposizione
la potenza delle forze primordiali di cui faceva esperienza giornaliera nel suo
piccolo capanno immerso nella natura, alla periferia di Fairbanks, in Alaska,
dove ha lavorato per oltre due decenni. In questa composizione inoltre, c’è un
riferimento diretto alle installazioni dell’artista James Turrell, che si
pongono come intermediazione tra lo spettacolo della natura – la volta celeste,
il trascolorare del giorno, il sole e gli astri, e la costruzione umana, dei
veri e propri ‘monumenti alla percezione’, come li definisce l’artista stesso: «Seduti
in silenzio in una delle loro riunioni, i quaccheri cercano di ‘salutare’ la
luce interiore. Ammirando una delle installazioni di James Turrell, egli stesso
un quacchero, ho fatto esperienza anch’io della mia epifania di luce. Dal
pomeriggio al tramonto e fino a notte inoltrata, fino a quando è giunto un
momento in cui il mondo esterno e quello interiore si sono incontrati in
perfetto equilibrio». Ecco the light
within, la luce interiore appunto.
-Matthew Burtner
- Song for Low Tree
Di nuovo l’Alaska, con Burtner (nato a Naknek,
Alaska del sud), che rivela un rapporto
con la natura del tutto particolare ed intenso. Il suo brano tenta di evocare,
o piuttosto, immaginare una sorta di comunicazione tra uomo e albero, giocando con
l’elettronica ad invertire le ‘carte in tavola’: costruisce una melodia
ricavata dal respiro umano trasposta molte ottave più in basso, come se provenisse
dalle radici di un grande albero, ricostruisce i ritmi del ‘respiro’ di un
albero trasponendoli molte ottave all’acuto, come se fosse il canto di un uomo.
Il brano, diviso in quattro sezioni che si succedono senza interruzioni, si
avvale dell’uso di due microfoni, uno dei quali posizionato sotto uno dei
tamburi, l’altro riposizionato più volte dall’esecutore.
-Ned McGowan – The Garden of Iniquitous Creatures
Parlando della
sua composizione Mc Gowan fa riferimento tanto al paesaggio – ma un paesaggio
ritmico, articolato e complesso sul quale la musica scorre - quanto alle sue influenze estremamente
varie, che vanno dalla ‘ferocia’ della band heavy metal svedese Meshggah, a
Frank Zappa e John Zorn, alla musica dell’India, fino ad alcune figure centrali
della storia musicale americana, come Crumb, Reich e Nancarrow.
-Christopher Cerrone
- South Catalina
Principali fonti di ispirazione della composizione sono
l’affascinante lavoro interattivo Swarm, che combina suoni e luce, opera del
collettivo artistico che ha sede a Londra, rAndom International, e la
straordinaria luce della California del sud, luce che ha affascinato il
compositore durante il suo soggiorno a Los Angeles nel 2013, mentre era al
lavoro per la composizione dell’opera Le
città invisibili (da Italo Calvino). Il titolo deriva dal nome della via
dove il compositore ha abitato, nel quartiere coreano di L.A.
-Richard Reed Parry - Strange Sun
Rise
Strange Sun Rise nasce dalle suggestioni delle elezioni americane del 2016. Sebbene non sia una composizione
esplicitamente politica, mira a descrivere lo stato d’animo di risvegliarsi, il
mattino dopo le elezioni e quelli
seguenti, in un mondo strano e diverso, governato da un nuovo ordine mondiale.
-Timo Andres - Checkered Shade
Insieme a South
Catalina, Checkered Shade fa
parte del più ampio progetto Hand Eye, che coinvolge i sei compositori degli
Sleeping Giant, (oltre ai due citati, Andrew Norma, Robert Honstein, Ted Hearne
e Jacob Cooper).
Andres, artista grafico e web designer oltre che
compositore, si ispira in questo lavoro alle chine di Astrid Bolwby e ai
disegni di gotico ed inquietante surrealismo di Edward Gorey. Il brano è
strutturato come un progressivo zoom che si allarga panoramicamente, piccoli
frammenti ripetuti si compongono gradualmente in strutture più ampie, che alla
fine, sotto la spinta del violino, convergono in una sorta di corale.
L’Eighth Blackbird, ensemble pluripremiato, fondato nel 1996 da sei
studenti dell’Oberlin College (a sud ovest di Cleveland, nell’Ohio), e con sede
oggi a Chicago, ha celebrato il suo ventesimo anniversario l’anno scorso,
vincendo il suo quarto Grammy Award, con oltre un centinaio di Premiere al suo
attivo, tra le quali brani di compositori importanti come Steve Reich, di cui
hanno eseguito in prima assoluta il Double
Sextett, vincitore del Premio Pulitzer nel 2009.
The Eighth Blackbirds
John Luther Adams