La cornice del tempo
Provate ad osservare, una volta che vi trovate fuori, magari in un parco, le immagini che vi circondano e provate ad isolarle da tutto il contesto della vostra vita come se foste stati paracadutati nella vostra mente all’improvviso e sapeste solo e soltanto quello che vedete.
Ci sono alberi e piante, e la temperatura è fredda,
ma c’è il sole. Sono circa le 11 di mattina e ci saranno sei o sette gradi.
Potrebbe essere un gennaio tiepido, o forse una primavera particolarmente
fredda. O una giornata soleggiata di novembre. Non avendo altre informazioni
siete tutti in quell’attimo, in quell’istante presente. E forse lo cogliete con
particolare attenzione e concentrazione, come mai prima.
Il fatto però è che noi non percepiamo mai la realtà
in questo modo, al contrario degli animali, perché ogni cosa che vediamo, viviamo e sentiamo è inserita in
una cornice, la cornice del tempo e della nostra vita. Il contesto è essenziale
al modo in cui noi percepiamo la realtà, immersi come siamo, costantemente tra
passato, presente e futuro. E questo è il senso della miniatura seguente,
tratta da Miniature amare.
L’uomo capovolto
Ogni essere
umano vive immerso, almeno fino all’ombelico (ma più spesso fino al collo), nel
fiume di ciò che vive nella sua mente.
Scorge come
pesci tra le acque, il guizzo o il fuggevole luccichio di ciò che ‘è appena
stato’, di ciò che ‘è stato’, di ciò che ‘fu’ e di ciò che ‘fu molto tempo fa’,
così come di quello che ‘sta per essere’, di quello che ‘sarà tra pochi
giorni’, di ciò che’ sarà tra un po’ di tempo’ e di ciò che ‘sarà tra molti,
molti anni’.
Al tempo stesso
passano veloci visioni vaghe di ciò che ‘potrebbe essere’ e di ciò che ‘avrebbe
potuto essere’, e di ciò che ‘vorrebbe che fosse’ e di ciò che ‘sogna ed
immagina senza alcuna speranza che si realizzi’. Nel frattempo osserva la
realtà intorno, sente il vento freddo scombinargli i capelli e l’arsura estiva
seccargli le labbra, il sapore dolciastro dell’acqua di fiume e delle more
d’agosto.
Il Signor L.
invece è nato capovolto, con la testa immersa in quel fiume, e le gambe fuori,
all’aria.
I suoi occhi
sono tutti intenti ad osservare le migliaia di pesci che lo circondano, quel
mescolarsi di infiniti colori come in un caleidoscopio che muta costantemente,
di ciò che ‘è appena stato’, di ciò che ‘è stato’, di ciò che ‘fu’ e di ciò che
‘fu molto tempo fa’, così come di quello che ‘sta per essere’, di quello che
‘sarà tra pochi giorni’, di ciò che’ sarà tra un po’ di tempo’ e di ciò che
‘sarà tra molti, molti anni’.
E ancor meglio
scorge ciò che ‘potrebbe essere’ e ciò che ‘avrebbe potuto essere’, ciò che
‘vorrebbe che fosse’ e ciò che ‘sogna ed immagina senza alcuna speranza che si
realizzi, ma senza arrendevolezza o rassegnazione’.
Al tempo stesso,
concentrato com’è su quella sorta di acquario tropicale, si accorge con grande
ritardo se la neve e la grandine gli hanno gelato i polpacci, o le zanzare lo
hanno coperto di punture e fatto uscire il sangue. A volte è già passata la
stagione e tornato il freddo quando comincia ad accorgersi delle ferite del
freddo e degli insetti.
Ogni volta si
ripromette di fare più attenzione a ciò che succede, ed ogni volta si ripete la
stessa storia e lo stesso errore. La sua reazione alla realtà, che sia dolore o
gioia, difesa o attacco, arrivano troppo, ma troppo tardi,
irrimediabilmente.
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