HOLLYWOOD,
ANDATA E RITORNO
Avevano nelle orecchie Richard Strauss, i compositori
di colonne sonore. E così la musica da film degli anni d’oro di Hollywood
diventò un prolungamento involontario del suo stile. Oggi Rolf Martinsson
inventa partiture che sanno chiudere il cerchio: nascono per la sala da
concerto ma hanno il sapore del cinema.
Richard Strauss
(1864-1949)
Don Juan, poema sinfonico op.
20
Erich Wolfgang Korngold
(1897-1957)
Musica
per i titoli di testa da Le avventure di Robin Hood
Rolf
Martinsson
(1956)
Concert
Fantastique op. 86 per clarinetto
e orchestra (2010)
1 solo mov.
Prima esecuzione
italiana
Miklós
Rózsa
(1907-1995)
Ben Hur Ouverture
Richard
Strauss
Danza dei sette
veli da Salome
Max
Steiner
(1888-1971)
Suite
da Via col vento
Suite da Casablanca
Orchestra
Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
John Axelrod, direttore
Magnus
Holmander, clarinetto
«Cinematic» – cinematografica – è stata definita dal critico
statunitense Phillip Huscher la musica di Richard Strauss, perché capace di
descrivere personaggi, luoghi e azioni senza bisogno di parole.
Non è un caso quindi
che molti dei compositori degli anni d’oro di Hollywood – e tra questi alcuni
dei protagonisti di questa serata, come l’ungherese Miklós Rózsa e gli austriaci
Erich Wolfang Korngold e Max Steiner -
ne avessero ‘lo stile nelle orecchie’.
Ricchezza di colori,
incontenibile energia vitale, cantabilità trascinante e ammaliante ma
intimamente moderna, fanno della musica di Strauss un blend unico che si è dimostrato da subito perfetto per il grande
schermo e non soltanto come fonte di ispirazione per i compositori di colonne
sonore: basti pensare al ruolo che Stanley Kubrick affidò in 2001: Odissea nello spazio (1968)
all’energia esplosiva di Also Sprach
Zarathustra.
Tra le
caratteristiche di questo stile è forse proprio l’energia vitale a costituire il
filo rosso che collega i brani che verranno eseguiti questa sera. Una vitalità
dirompente ed una ‘sete di vita’ perfettamente simboleggiate dal Don Juan, il cui disegno iniziale degli
archi apre come una fiammata la
composizione e le cui prime battute, scandite da timpani ed ottoni hanno fatto
evidentemente scuola a Hollywood; la stessa energia vitale che si ritrova poi in
Robin Hood, in Giuda Ben Hur, in Rhett Butler di Via col Vento, in Rick Blaine di Casablanca e nel Concert
Fantastique di Martinsson.
Il primo della
fortunata serie dei poemi sinfonici di Strauss, composto in soli quattro mesi
nell’estate del 1888, il Don Juan ebbe da subito un’accoglienza
clamorosa («un uragano di applausi», secondo le parole del suo autore), e spinse il giovane compositore rapidamente
verso il successo.
In partitura (prassi abituale per i poemi sinfonici il
collegamento ad un testo poetico) Strauss inserì tre estratti del poema omonimo del poeta austriaco Nicolas Lenau (1802-1850), tra cui i versi: «Io voglio attraversare in una tempesta di piacere il
cerchio magico della bellezza femminile e morire
di un bacio sulle labbra dell’ultima donna…». Ma se il riferimento letterario è Lenau, non possiamo
dimenticare che Strauss, prima di
cominciare a comporre il suo Don Juan,
aveva da poco diretto il Don Giovanni
di Mozart: resta difficile immaginare che almeno parte di quell’incredibile
vitalità non lo avesse contagiato.
La danza dei sette
veli è tratta invece dall’opera
in un atto e un balletto Salomè (da
Wilde) del 1905. La danza è quella in
cui Salomè seduce Erode e ottiene che venga tagliata la testa di Jochanaan, il
profeta (Giovanni Battista). Il sapore orientale delle melodie, il ricco colore
esotico dell’orchestrazione hanno veramente fatto scuola nella musica
hollywoodiana.
Il nome di Strauss ricorre anche nella biografia di Erich
Wolfang Korngold, salutato al suo arrivo a Hollywood come un novello Mozart.
Strauss infatti ebbe modo di incontrarlo da bambino e apprezzarne le
precocissime doti di pianista, direttore d’orchestra e compositore.
Korngold, insieme a Miklós Rózsa, fu prima di tutto un
compositore cameristico, sinfonico e di teatro musicale. Raggiunse il successo
già a undici anni con un balletto (Der
Schneemann), ma fu forse con la sua opera, La città morta (Die Tote
Stadt, del 1920) che ottenne il successo più importante e duraturo,
conquistando i teatri di tutta Europa, prima di essere costretto a trasferirsi
negli Stati Uniti.
Declinò più volte l’offerta di lavorare per Le
avventure di Robin Hood (1938), perché pur ritenendolo un buon film,
conteneva troppe scene d’azione e – a suo avviso – avrebbe avuto troppo poco
tempo per scriverne le musiche. Alla
fine accettò e completò le musiche in sette settimane, per quella che fu la
produzione più costosa mai realizzata fino a quel momento.
Il Concert Fantastique di Rolf Martinsson (1956), uno dei più
acclamati e prolifici compositori svedesi della scena contemporanea, nasce dalla strettissima collaborazione tra il
compositore e il clarinettista Martin Fröst. Sebbene il titolo abbia origine da
una suggestione dello stesso interprete, Martinsson ci rivela che, nelle sue
intenzioni, esso fa riferimento soprattutto alle doti straordinarie di artista
e musicista di Fröst. «Durante uno dei nostri incontri»,
scrive Martisson, «Martin si mise
improvvisamente a suonare il clarinetto con incredibile velocità, morbidezza e
fluidità. Il che mi fece pensare subito ad un colibrì che fluttua nell’aria e
si muove rapidamente da un fiore all’altro». Il concerto fa parte di una serie
di concerti composti da Martinsson per strumento solista, tra cui il Concerto
per tromba e il Concerto per flauto, marimba e archi.
Col Concert Fantastique torniamo
nell’ambito della musica ‘pura’, composta cioè per il palcoscenico e non per lo
schermo. Eppure, come nel caso di Strauss, ritorna prepotentemente anche un
termine: ‘cinematic’. Il concerto infatti riesce a combinare la solidità, la
profondità e il senso della forma della tradizione dei grandi compositori della
musica classica, con la capacità di comunicare e soprattutto di evocare delle
narrazioni attraverso i suoni.
Martinsson costruisce una vera e
propria drammaturgia col suo Concerto, carica di immagini ‘cinematografiche’
vivissime, in una sintesi felice di linguaggi molteplici, che da una parte
devono molto ai grandi compositori di Hoollywood - nei colori orchestrali, nella
luminosità e immediatezza di alcune melodie, nei ritmi incalzanti e nell’ampia
tavolozza espressiva - e dall’altra anche a grandi compositori americani del
Novecento, dei quali si colgono a volte risonanze discrete e fuggevoli, come
Gershwin e Copland.
Miklós Rózsa, compositore ungherese, fu insieme a Korngold uno dei pochi
compositori che riuscì a conciliare la carriera di compositore per il cinema a
quella di compositore per le sale da concerto, con numerose e apprezzatissime
esecuzioni e registrazioni, tra le quali un Concerto
per violino e un Tema, Variazioni e
finale. Con Ben Hur (1959) vinse il
suo terzo Oscar, dopo Io ti salverò
di Alfred Hitchcock (1945) e Doppia vita
di George Cukor (1947).
Altro compositore
proveniente dall’Austria, Max Steiner fu un lavoratore instancabile: nel solo
1939 lavorò a ben dodici film, tra cui Via col vento. Steiner compì uno
sforzo straordinario per terminare in tempo l’enorme quantità di musica che le
tre ore del film richiedevano: venti ore al giorno di lavoro con assistenza
medica (e la somministrazione controllata di anfetamine, fino al 1959 sostanze
legali negli Stati Uniti) per dodici settimane consecutive e un gruppo di
cinque collaboratori.
Storia controversa
invece quella di Casablanca (1942), dove l’uso della canzone chiave del film As time goes by di Herman Hupfeld, fu oggetto di un dissidio tra i produttori e
Steiner, che la riteneva non adatta. Alla
fine il compositore riuscì a convincere la produzione ad eliminarla e a rigirare
la scena che la conteneva. Tuttavia, al momento di inserire la nuova canzone,
scritta appositamente da Steiner e di rigirare la scena coinvolta, si scoprì
che l’attrice Ingrid Bergman si era tagliata i capelli corti per girare Per chi suona la campana, e fu quindi impossibile
sostituirla. Nella Suite tratta dalle musiche del film, oltre alla canzone e
alle musiche originali di Steiner si udrà più volte la Marsigliese, un
riferimento alla Francia non occupata di Pétain, di cui il Marocco francese
faceva parte.
Gian-Luca
Baldi
Max Steiner
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