venerdì 28 settembre 2018

Prometeo - Franz Schubert II parte




Gian-Luca Baldi
Il lungo cammino di Franz Schubert – II parte

Ellens dritter Gesang: Ave Maria
Nel 2018 due guizzi di sobria notorietà hanno aiutato Franz Schubert, la cui musica sembra ‘pervadere’ la modernità in maniera generalmente discreta e quasi invisibile, ad attirare l’attenzione di un pubblico più vasto. Nel mese di maggio, attraverso la diretta televisiva del matrimonio del principe Harry, il nome di Schubert è risuonato in tutto il mondo, mentre la sua musica si diffondeva dalla Cappella di St. George. Si trattava della famosissima Ave Maria, un brano che accompagna ormai da decenni, nonostante i veti e divieti di tante autorità ecclesiastiche, i matrimoni di ogni classe sociale, dalle più umili fino, evidentemente, alle famiglie reali, in una versione per violoncello e orchestra affidata alla giovane promessa Sheku Kanneh-Mason, la cui compilation è saltata subito in vetta alle classifiche. A questo proposito, anche per comprendere le perplessità della Chiesa, vale la pena di ricordare che non si tratta di un brano sacro (sebbene oggi si cantino anche versioni che al testo originale sostituiscono la preghiera cattolica alla Madonna), ma  del sesto di un gruppo di sette Lieder tratti da La donna del lago di Walter Scott, romanzo che anche Rossini aveva utilizzato per la sua opera omonima, del 1819: Liederzyklus von Fräulein vom See (Ciclo di Lieder sulla Donna del lago). Il titolo originale dell’Ave Maria è Ellens dritter Gesang – Terzo canto di Ellen, dove  Ellen Douglas, la donna del lago, si rivolge alla Vergine Maria affinché protegga il ribelle Roderick Dhu, dei clan scozzesi del nord, che sta per andare in battaglia contro il re Giacomo V. Composto nel 1825, questo ciclo di sette Lieder sembra sia stato eseguito per la prima volta in onore della Contessa Sophie Weissenwolff, nel suo castello di Steyregg. Significativo quello che scrive Schubert al padre a proposito dell’Ave Maria in una lettera del 25 luglio: «Tutti fanno grandi meraviglie di fronte al fatto che io sia stato capace di esprimere una devozione così sincera, in un inno alla Beata Vergine, un inno che, a quanto sembra, fa presa sull’animo di ciascuno, e ispira sentimenti di pietà religiosa. Credo che questo dipenda dal fatto che io non mi sono mai imposto di essere devoto, e che non ho mai composto inni e preghiere se non quando mi sentivo istintivamente ispirato da un sentimento religioso sincero. E credo che in questo consista la vera e autentica devozione» (Einstein 1978, p. 313). Emerge qui chiaramente, a proposito della disposizione del compositore nei confronti della devozione e dello scrivere brani di ispirazione sacra, uno dei caratteri distintivi della personalità musicale di Schubert, e cioè il fatto che egli «non scrisse su commissione se non in casi rarissimi e poco importanti. Anche sotto questo riguardo egli divenne un modello del compositore ottocentesco, che obbedisce soltanto alla sua ispirazione» (Paumgartner 1981, p. 232). E non solo. C’è nel suo comporre una leggerezza, una facilità, una naturalezza che non si riscontra in altri compositori. Non certo in Beethoven di cui era noto il travaglio artistico, fatto di bozze preliminari, appunti, versioni scartate e cancellature molteplici, ma nemmeno in un Mozart, al quale una prodigiosa memoria musicale consentiva di tenere a mente anche per mesi le proprie composizioni, rifinendole nei minimi dettagli ‘interiormente’, e di scriverle solo quando erano ormai perfettamente compiute. Per quanto non possa dirsi che l’arte di Schubert fosse priva di riflessività e ponderatezza (processi interiori dei quali è possibile per noi scorgere solo la cima dell’iceberg), in lui l’idea musicale sembrava sgorgare veloce e con facilità, quasi in uno stato di chiaroveggenza o di trance, dove l’artista si lasciava guidare da un intuito infallibile e da una visione chiara della forma e del divenire musicale. È proprio l’Ave Maria che ci fornisce in fondo un ottimo esempio dell’arte di Schubert: un accompagnamento semplice, il pianoforte sembra quasi imitare una chitarra, come nel Lied Ständchen (Serenata); un’armonia trasparente e solo apparentemente ordinaria, che riserva in realtà piccole ed elegantissime sorprese, evitando così qualsiasi rischio di banalità; un senso della melodia squisito, del tutto ‘italiano’. Non è certamente un caso, d’altronde, che Schubert studiò cinque anni con Antonio Salieri che della scrittura vocale faceva il perno del suo magistero didattico. Anche se c’è da dire che i compositori austriaci del periodo classico, Mozart primo fra tutti (e abbiamo già detto che Haydn studiò don l’operista napoletano Nicola Porpora), seppero combinare intimamente la tradizione vocale italiana a quella strumentale tedesca, ottenendo così dei risultati straordinari.

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