domenica 28 agosto 2016

Warning

A proposito di Avanguardia












E’ forse proprio nel gennaio del 2015 che il termine avanguardia sembra fare ufficialmente e definitivamente il suo ingresso nel linguaggio pubblicitario, dimostrando così una longevità ed una capacità di rigenerarsi nel tempo e nei luoghi del tutto particolare. Non nel senso che l’avanguardia compaia nella pubblicità, come nelle immagini pubblicate dall’Espresso nel 1978, della pubblicità di uno champagne in cui apparivano le opere di Mario Schifano e Concetto Pozzati, ma che ciò che la pubblicità propone – nello specifico una nuova autovettura – viene definito esso stesso avanguardia.

Niente di strano, però. Perché se riflettiamo sul concetto di avanguardia, niente di meglio che un prodotto industriale, o appartenente al mondi della moda può oggi a pieno diritto utilizzare questo termine.
Tanto è vero che, se cerchiamo la parola 'avanguardia' su Google, i risultati che escono sono principalmente legati alla moda e alle autovetture! 

Che Avanguardia sia un concetto perfettamente assimilato dall’industria e dalle nuove tecnologie, à dovuto ad una ragione molto semplice: il loro cammino ha ben chiaro il prima e il dopo, e l’importanza di un processo di evoluzione continua e inarrestabile.
Agli inizi del Novecento invece questo termine era stato appena rubato dalla politica prima, e subito dopo dalle arti e dalla musica al linguaggio militare, per il quale indicava originariamente un gruppo ristretto di soldati che precedevano il grosso  dell’esercito, per avvicinarsi non visti alle linee del nemico e fornire un resoconto sulla sua posizione, la consistenza del suo esercito, la sua strategia.
Proviamo a vedere con quali significati acquisiti:
1.      Un gruppo ristretto di individui (o anche un solo artista), rompono con la tradizione/col linguaggio che è stato tramandato loro/con i propri maestri, e ne rivoluzionano radicalmente le regole, individuando nuove leggi e nuove estetiche. Essenziale quindi è il senso di rottura profonda con quanto precede.
2.      Questo atto ‘rivoluzionario’ è spesso vissuto in solitudine e accompagnato dalla diffidenza se non dall’aperta ostilità del’ambiente accademico. Accademia, in questo senso, è il contrario di avanguardia. E’ il sapere costituitosi nel corso dei secoli, tramandato e custodito gelosamente, e rispettato dai molti. Un sapere che si considera quasi sacro, e quindi intoccabile.
3.      Il concetto di avanguardia è intimamente e strettamente legato all’idea occidentale della Storia e del Tempo, una concezione lineare che trae origine dalla cultura giudaico-cristiana. Un arco temporale che ha un inizio (la creazione) e una fine (il giudizio universale). A questa visione di un procedere lineare verso un fine ultimo, nel corso dell’Ottocento, si aggiunge il progresso scientifico, che rafforza anche nelle Arti la sensazione di procedere in avanti, di progredire. Tuttavia la Seconda Guerra Mondiale segna uno spartiacque nettissimo nella civiltà occidentale. Il senso della Storia e del Tempo ne escono completamente trasformati, per non dire sconvolti. Da quel momento Oriente e Occidente sembrano tornare ad avvicinarsi, e concezioni antiche o lontane come il senso ciclico della storia, tornano a contaminare la nostra sensibilità. Col passaggio dal Modernismo al Post-modernismo, coll’evaporare del significato di ‘progresso’, con lo svanire delle tante certezze della società occidentale, il concetto d’avanguardia stesso ne esce completamente svuotato. Se il percorso della Storia non è lineare, ma multiplo e discontinuo, ciclico e contraddittorio, come può esserci un’avanguardia? Come qualcosa può essere più avanti di qualcos’altro? Nella moda, forse. Nella tecnologia, sicuramente! Ma non nelle arti!

Con queste premesse, se noi ora esaminiamo alcune posizioni che oggi amano ancora definirsi ‘avanguardia’, senza tener conto di quanto è stato detto e scritto dai principali studiosi e teorici negli ultimi trent’anni, scopriremo che rispondono esattamente ai requisiti di quella che una volta si definiva accademia e dell’avanguardia, nel senso modernista, non hanno proprio più nulla.
Nel momento in cui alcune scelte sono state compiute, e alcune strade sono state intraprese oltre cento anni fa, che a tutto ciò si sono ispirate diverse generazioni di compositori, docenti, teorici, che hanno riconosciuto in quei principi ‘la strada’ giusta, la ‘verità’, e che quindi quei principi impongono alle generazioni più giovani, tutto ciò è diventato inevitabilmente e inesorabilmente ‘accademia’. Niente e null’altro che quella trita e vuota ‘accademia’ che l’avanguardia aveva in odio e combatteva.
Inoltre è assolutamente estraneo allo spirito stesso dell’avanguardia il cristallizzarsi di un linguaggio per oltre cento anni. Tanto che è stato rimarcato negli ultimi anni, da molti critici, che un certo tipo di musica contemporanea sembra aver perso totalmente la nozione di stile e di ‘sound’, reiterando all’infinito certe sonorità, incancrenitesi in gesti ormai vuoti e stanchi, ripetuti da troppi individui e da troppo tempo per essere ancora veri e sinceri.

Avanguardia era, e al limite dovrebbe essere oggi, tutta un’altra cosa. Seguire solo la propria strada, non ascoltare i propri maestri, o addirittura vituperarli, come faceva Boulez, fare solo ciò in cui si crede e costruire da soli il proprio linguaggio, senza riceverlo pre-masticato dagli altri. Magari andandocelo a prendere dal passato, ma rifiutando quello che va di moda oggi, quello che bolle in pentola, quello che conviene fare per vincere i concorsi e potersi affermare come compositore. Avanguardia è esattamente il contrario. E’ solitudine. E’ non essere eseguiti. E’ prendersi gioco delle mode. E’ coraggio, indipendenza. E’ cercare, cercare, e magari non trovare nulla per anni.

Tuttavia, paradossalmente, chi crede nella fine del percorso lineare della Storia (come il sottoscritto), nella fine inesorabile del Modernismo, dissoltosi nel Post-modernismo; nella fine di un percorso storico ineluttabile degli stili che prevedeva un prima e un dopo; chi è persuaso della fine dell’idea stessa di progresso e dell’andare avanti, crede contemporaneamente che, diventata la questione dello stile assolutamente individuale e personale, e soprattutto non globale[1], ma legata a quella data opera, a quel dato evento, proprio costui accetta di conseguenza anche i sopravvissuti dell’avanguardia, e tutti coloro che ne perpetuano alcuni gesti all’infinito. Ne rispetta le scelte, come un repechage retrò, con lo stesso diritto all’esistenza del post-barocco, del nuovo minimalismo, dell’art-rock e di mille altre correnti.
Mentre coloro che credono ancora nella Storia (e ne hanno perfettamente diritto), nell’evoluzione lineare degli stili, convinti di appartenere ancora all’onda lunga di una rivoluzione artistica cominciata più di cento anni fa, si trovano  invece a fare i conti con un mare diventato deserto, dove si trascinano stanchi i cammelli in mezzo alle navi arenate, come nel lago Aral[2], proprio costoro dovrebbero prendere consapevolezza allora che questa ‘Storia lineare’ ha inesorabilmente condannato a morte, per età, anzi vecchiaia, stanchezza, ed esaurimento, le loro convinzioni, e dovrebbero quindi arrendersi come il soldato giapponese Shoiki Yokoi che rimase per ventotto anni nascosto nell’isola di Guam, rifiutando caparbiamente di accettare l’idea che la guerra fosse finita, e che una volta costretto a tornare alla civiltà, dichiarò: «E’ con grande imbarazzo che sono tornato ad essere vivo».





[1] Per cui un compositore può avere oggi molti stili e nessuno (si vedano a questo proposito le dichiarazioni di uno dei compositori più eseguiti al mondo, John Adams).
[2]A piedi nell'Aral, il lago diventato deserto”, di Maurizio Chierici, «Corriere della sera», 11 maggio 1998.
[3] Il saggio apre il volume Autori vari, Ligeti, EDT, Torino 1985.


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