domenica 10 febbraio 2019

L’insostenibile leggerezza dell’io



Haruki Murakami, Norwegian wood
Uscito in Italia nel 1993 col titolo di Tokio Blues, il romanzo di Murakami è stato recentemente ripubblicato col titolo originario di Norwegian wood, un riferimento esplicito e dichiarato ad una canzone dei Beatles (tratta da Rubber soul del 1965 e scritta da John Lennon). Per quanto il titolo giapponese sia un travisamento dell’originale inglese: ‘legno norvegese’ è infatti diventato ‘bosco norvegese’ nella traduzione.
Murakami cominciò a lavorare al romanzo, tratto dalla sua novella Hotaru (La lucciola) nel 1986, a Mykonos, e lo completò alla periferia di Roma, nel quartiere Prenestino.
Se in musica appare decisamente difficile sfuggire alla dialettica A–B, che può ritrovarsi tanto nelle più semplici Ballate, come ad esempio Suzanne (1967) di Leonard Cohen, quanto nella musica strumentale più complessa dei grandi compositori classici fino a composizioni come Microphonie 1 (1966) di Karlheinz Stockhausen o addirittura nel brano Sud di Jean-Claude Risset, un esempio di musica concreta (fatta con suoni registrati ‘reali’), nel quale la B (si passa dai suoni di una spiaggia e delle onde a quelli del bosco) arriva esattamente intorno ai 40 secondi, come il secondo tema di maggior parte delle sinfonie classiche; allo stesso modo in letteratura è davvero difficile sfuggire alle due possibilità di una ‘narrazione in prima o in terza persona’.
Eppure all’interno di questo strutture date, il ventaglio di sfumature e di personalizzazioni da parte di un autore appaiono davvero infinite.
Murakami sceglie una formula apparentemente comunissima per Norwegian wood, una narrazione in prima persona, attraverso un lunghissimo flashback.
Eppure, man mano che si procede nella storia, ci si rende conto di una particolarità del tutto unica di questo io narrante, vale a dire della sua leggerezza.
Invece di appesantire la pagina con pensieri e riflessioni, invece di inondarla da un flusso di coscienza inarrestabile, il protagonista, Toru Watanabe, appare un io discreto, riservato e parsimonioso nel confidare al lettore i propri pensieri e i propri sentimenti. Questa leggerezza dell’io narrante, questa sua trasparenza, porta ad una maggiore apertura nei confronti del mondo che lo circonda. una maggiore attenzione alla realtà esterna, un maggiore ascolto. Noi entriamo nel mondo del protagonista guardandolo con i suoi occhi ma senza essere appesantiti e frenati dalle sue strutture mentali.
Watanabe guarda, vive, riporta, timidamente riflette ed annota, e noi con lui viaggiamo, passo dopo passo, nel mondo nel quale è immerso, con la valigia leggera.



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